Uno Stato che arresta i suoi avvocati è segno di un imbarbarimento dell'ordine democratico e dello stato di diritto. Succede in frangenti molto gravi come nel caso di una guerra. E la repressione va a colpire chiunque venga visto come un nemico interno. In Israele dopo quattro mesi di conflitto, la società civile ha subito colpi gravissimi come dimostra il caso del legale per diritti umani Ahmad Khalefa. Quest'ultimo solo ieri infatti è stato confinato agli arresti domiciliari dopo aver passato ben centodieci giorni in carcere.

Secondo le autorità israeliane l'avvocato ha avuto la colpa di aver organizzato una marcia di protesta pacifica contro la guerra. In realtà Khalefa, di origine palestinese, che lavora con Human Rights Defenders Fund, un'organizzazione non governativa israeliana, è stato arrestato il 19 ottobre con l'accusa di incitamento al terrorismo. Ma nessuna prova è stata presentata dai pubblici ministeri a sostegno delle accuse contro di lui e ora rischia fino a otto anni di carcere se condannato, come sostengono i suoi colleghi. La Corte Suprema ha stabilito che passerà il tempo che intercorre fino al processo nella propria abitazione sottoposto al controllo tramite un braccialetto elettronico. Khalefa, una figura ben nota della comunità nella città arabo- israeliana di Umm al-Fahm, secondo i suoi accusatori durante la protesta ha intonato canti anti-occupazione molto noti, per questo è stato portato via con la forza riportando lievi ferite.

Da quello che è filtrato tramite i suoi legali difensori, gli sono state negate le cure mediche ed è stato condotto direttamente in prigione. A lui e ad altri prigionieri sono stati negati cibo e vestiti, gli arrestati inoltre hanno denunciato anche abusi degradanti compiuti dalle guardie carcerarie. Una conseguenza del peggioramento che le prigioni dello stato ebraico hanno fatto registrare dall'inizio del conflitto. Secondo un rapporto dell'Ufficio del Difensore Pubblico di pochi giorni fa, i prigionieri soffrono di cattive condizioni igieniche, e infestazioni, con circa 3400 detenuti che dormono sul pavimento.

L'inevitabile corollario del sovraffollamento provocato dagli arresti di massa degli ultimi mesi. Prima della decisione da parte della Corte Suprema sugli arresti domiciliari, l'avvocato di Khalefa, Afnan Khalifa, aveva presentato diverse richieste senza successo, citando la sua mancanza di precedenti penali e la riconosciuta posizione nella comunità. È stato solo grazie al giudice Ofer Grosskopf che ha respinto l'argomentazione dell'accusa secondo cui Khalefa è una persona pericolosa, che il legale ha potuto lasciare il carcere aggiungendo che «detenere un avvocato per quattro mesi richiede una spiegazione».

Khalefa è uno dei circa 220 israeliani, la maggior parte, ma non tutti, membri della minoranza araba coinvolti in un giro di vite sui diritti civili e sulla libertà di parola dopo il 7 ottobre. Le persone colpite dalla repressione sono state arrestate, hanno perso il lavoro o l'accesso all'istruzione, soprattutto a causa dei post sui social media. La nota cantante Dalal Abu Amneh è stata arrestata nella sua abitazione, tenuta in carcere per due giorni e poi agli arresti domiciliari per altri cinque, per un post su Instagram. Un insegnante di Gerusalemme, Meir Baruchin, è stato licenziato e incarcerato per aver criticato l'esercito. Stesso trattamento per il politico di sinistra Ofer Cassif che rischia di essere espulso dalla Knesset. Pochi degli arrestati sono stati incriminati. I colleghi di Khalefa affermano che lo Stato sta tentando di «fare di lui un esempio perseguendo false accuse di terrorismo ... come parte integrante della politica di tolleranza zero adottata da ottobre».