I materassini impregnati d’acqua, gli attrezzi ricoperti dal fango, la gommapiuma intrisa di melma. E poi pale di ogni tipo, scopettoni di diverse lunghezze e tanta, tantissima forza di volontà. Da giorni e giorni decine di persone sono impegnate per cercare di riportare la palestra comunale di ginnastica artistica “Girolamo Mercuriali” di Forlì a un luogo di sport, dalla distesa di acqua mista a fango che è diventata nella notte tra martedì e mercoledì.

«La prima cosa che abbiamo fatto dopo l’alluvione è stato pensare alla nostra palestra, ci siamo messi d’accordo per ritrovarci qui e offrire ognuno il proprio contributo», spiega Giulia, una giovanissima atleta sporca di fango dalla testa ai piedi. Poco più in là bambini, adulti e qualche anziano stanno formando una catena umana per rimuovere le centinaia di cubi di gommapiuma dalla buca che li ospita per attutire gli atterraggi, nella quale ci sono almeno due metri d’acqua. «Datemi un badile e vi solleverò il mondo», grida entusiasta uno dei volontari parafrasando Archimede, quando si accorge che usando le pale come leve si possono portare fuori più facilmente i materassini appesantiti dal fango.

Arrivando da sud, e percorrendo la E45 lungo l’Appennino tosco-romagnolo, i primi segni, evidenti, dell’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna s’incontrano all’altezza di Mercato Saraceno. Un paese di settemila anime la cui geografia, ha detto la sindaca Monica Rossi, «deve essere riscritta». L’uscita della superstrada è chiusa, perché una frana ha letteralmente invaso la rampa d’accesso. E le frane, voltandosi a destra e a sinistra della carreggiata, non si contano. Interi costoni scesi a valle, talvolta sfiorando di pochi metri i centri abitati.

Passando oltre si arriva a Cesena e infine a Forlì, dove alcune zone, come quella dove si trova la palestra Mercuriali, dopo quasi una settimana dall’alluvione sono ancora sommerse da mezzo metro d’acqua. La palestra è in via Isonzo, una delle più colpite della città assieme a via Pelacano, che la incrocia. Il perché è presto detto: a poche decine di metri da qui scorre il Montone, che nelle prime ore di mercoledì è esondato allagando interi quartieri. Il sole picchia forte, e se da una parte questo regala un sorriso alle persone, dall’altro rappresenta un rischio, perché la conseguenza delle alte temperature è che il fango si secca e a quel punto diventa ancora più difficile liberarsene.

«Ragazzi, ci venite a dare una mano?». La voce è quella di Mario, pensionato di 68 anni la cui casa è nascosta da un cumulo di elettrodomestici, mobili, poltrone e suppellettili lasciati lungo la strada in attesa che qualcuno se ne occupi e li smaltisca. È un altro grave problema, quello dello smaltimento di ciò che resta dell’alluvione, ma ci si penserà a tempo debito. Prima ci sono ancora da liberare dal fango decine di cantine, taverne e garage come quello di Mario, che sta cercando si spostare un divano “ancorato” al pavimento dalla melma. «Senza di loro sarebbe impossibile», dice riferendosi ai volontari che nel fine settimana hanno raggiunto Forlì, Cesena, Faenza e le altre città colpite da quella che il presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, ha definito «una catastrofe paragonabile al terremoto del 2012».

In fondo al garage di Mario, impolverata e con il rosso un po’ sbiadito, c’è una bandiera della Ferrari, che qui è considerata alla stregua della Nazionale di calcio. Poche ore dopo la tragedia, l’azienda ha devoluto un milione di euro alla popolazione alluvionata. Gli accenti dei volontari si confondono: dei toscani non si sentono le “ci”, i romagnoli sottolineano le “zeta”.

Spostandosi di qualche metro s’incontra Susanna, la cui casa è già stata liberata dal fango, ma il magazzino adiacente è ancora sommerso. Per arrivarci, i volontari creano dei ponti improvvisati con dei bancali di legno. Troppo alto il rischio di scivolare in quello che fino a lunedì era il giardino e oggi è una distesa di melma. Dal magazzino vengono fuori libri d’arte e architettura, ma anche addobbi natalizi, mattonelle e giochi per bambini.

I giochi dei bambini sono una costante, in via Isonzo. Se ne ritrovano a decine, ormai abbandonati, davanti alle case. Un triciclo blu, una bambola piena di fango, il camion rosso dei pompieri. Come quello abbandonato di fronte all’asilo “Il trenino”, dove decine di volontari stanno cercando di lavare i giocattoli nel tentativo di riaprire il prima possibile. Ma basta alzare lo sguardo per vedere quello vero, di camion dei pompieri, mentre si cerca di salvare il salvabile nella consapevolezza che la realtà dei fatti è andata ben oltre le più nefaste aspettative.

Passa un’auto e a tutto volume risuona “Romagna mia”, divenuto ormai l’inno di queste giornate di rinnovata resistenza. E se anche i casolari qui intorno sono tutti allagati, e di conseguenza anche volendo non ci si può tornare, la certezza è che lontano da questa terra nessuno può stare, e allora tutti scendono in strada e danno una mano.

Del resto via Palmanova, via Podgora e via Oslavia, tutte traverse di via Pelacano, sono ancora allagate. Quando a metà pomeriggio arrivano le idrovore, gli abitanti se le contendono in maniera civile, ragionando sugli interventi più urgenti. Ma è tutto urgente, in questi giorni a Forlì, e lo sanno bene gli stessi residenti, che non mancano di offrire cibo e bevande ai volontari. Per la maggior parte giovanissimi, decisi a ribaltare lo stereotipo dei ragazzi tutti social e zero interazioni. Ci sono i panini con il prosciutto e quelli con lo squacquerone, il Sangiovese e il vino bianco, il salame e le fave col pecorino. E ci sono le meringhe della signora Gina, che le offre a un gruppo di volontari tramite il marito mentre lei saluta dal primo piano, impossibilitata a scendere per problemi di deambulazione. Tra quei volontari, comprensibilmente, c’è chi si commuove. E c’è anche Lavinia, 18 anni, capelli biondi e occhi azzurri, sporchi di fango. «Sembra di non vedere mai la fine», sussurra un po’ sconsolata mentre l’acqua che porta via dalla strada ritorna dopo pochi secondi, portata da altre scope che spazzano altra acqua. Il proprietario dell’unico bar aperto della strada racconta quelle ore tremende, mentre la macchinetta del caffè dona un minimo di normalità ai clienti. «Da noi l’acqua si è fermata a cinque centimetri da qui», dice indicando un punto vicino alla finestra, oltre la quale si vedono solo campi allagati.

A un certo punto si sparge la voce che potrebbe arrivare la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ma viene smentita poco dopo. L’inquilina di palazzo Chigi, di rientro dal G7 a Hiroshima, si farà vedere invece nel Ravennate, dove stringe mani e promette aiuti a partire dal Consiglio dei ministri in programma domani. 

D’altronde alla gente manca tutto, gli sfollati stanno diminuendo di ora in ora ma le circa ventimila persone ancora senza una casa sono ospitate da parenti e amici. Un gruppo di volontari da Città di Castello, un’ora e venti scarsa di auto da qui, regala a una famiglia cibo e indumenti, ma anche pannolini e mutande. «La sensazione di svegliarsi al mattino sapendo di aver aiutato delle persone è unica», confida Martina.

Passano un ragazzo e una ragazzina, che potrebbe essere sua sorella. Lei ha i capelli raccolti in una coda, lui una maglietta arancione con un cuore disegnato al momento. Entrambi hanno in una mano gli stivali di una giornata di lavoro, con l’altra si tengono stretti. Nell’aria, l’odore pesante di quella melma color caffelatte. Quell’odore che non se ne va, anche quando ci si lascia alle spalle la Romagna ferita e la tenacia della sua gente.