Ci sarebbe stata una operazione, per procura, di respingimento collettivo dove si prefigurerebbe un abuso per mancato soccorrimento. A effettuare il respingimento verso la Libia di 500 migranti fuggiti soprattutto dalla guerra in Siria è stata l’autorità maltese, ma – secondo quanto denunciano le ong Alarm Phone, Sea- Watch, Mediterranea Saving Humans ed Emergency - le Autorità italiane avrebbero dovuto mobilitare i soccorsi per proteggere quelle vite e garantire il loro sbarco in un luogo sicuro. Nel pomeriggio del 23 maggio 2023, oltre 500 persone provenienti dalla Siria, dall'Egitto, dal Bangladesh e dal Pakistan, tra cui donne e bambini, sono fuggite dalla violenza e dalla prigionia in Libia. Purtroppo, le loro speranze di trovare sicurezza sono state infrante quando sono stati riportati in Libia, un paese che ancora non riesce a garantire la protezione dei diritti umani fondamentali. Il loro viaggio verso la speranza ha subito un duro colpo quando il motore del peschereccio a doppio ponte su cui si trovavano ha smesso di funzionare.

Senza possibilità di controllo, l'imbarcazione è stata abbandonata alla deriva. Le richieste di soccorso disperate delle persone a bordo sono state ignorate dalle autorità responsabili, nonostante la posizione GPS indicasse chiaramente la loro presenza nella zona di ricerca e soccorso ( SAR) maltese. Fortunatamente, il gruppo in pericolo è riuscito a contattare la rete Alarm Phone, che ha immediatamente allertato le autorità competenti a Malta e in Italia. Ma nonostante l'urgente bisogno di soccorso, la situazione delle 500 persone è peggiorata ulteriormente. Con l'imbarcazione che affondava e l'acqua che invadeva gli spazi interni, le persone sono state costrette a fuggire sul ponte superiore per cercare di sopravvivere. Nonostante il pericolo imminente, le navi mercantili che transitavano nella zona non si sono fermate per prestare aiuto. Ciò solleva interrogativi sulla mancata comunicazione delle autorità maltesi alle navi presenti in zona riguardo alla presenza del peschereccio alla deriva con 500 persone in pericolo.

Questo fallimento ha ulteriormente complicato la situazione critica delle persone a bordo. Dopo ore di comunicazione con Alarm Phone, l'ultima volta che si è avuta notizia delle persone a bordo è stata alle 6: 20 del 24 maggio. Successivamente, nonostante i numerosi tentativi di riconnettersi, sia i parenti che Alarm Phone non sono stati in grado di stabilire un contatto. Ciò ha alimentato il timore che le 500 persone potessero essere state intercettate e rimpatriate forzatamente in Libia, un paese notoriamente instabile e pericoloso.

Le preoccupazioni si sono rivelate fondate quando, la mattina successiva, è emerso il destino tragico del gruppo. Le 500 persone non erano state soccorse come richiesto, ma invece trainate in modo forzato per oltre 160 miglia nautiche, equivalenti a più di 300 chilometri, fino al porto libico di Bengasi. Questo respingimento, di fatto, illegale e la successiva deportazione, sono state coordinate dalle autorità responsabili della zona di ricerca e soccorso maltese, il RCC Malta.

Secondo le Ong questa operazione ha evidenziato una chiara violazione dei diritti umani e delle convenzioni internazionali. Invece di fornire assistenza e garantire un luogo sicuro per le persone che cercavano di sfuggire alla violenza estrema in Libia, l'autorità di uno Stato membro dell'Unione Europea, ovvero Malta, secondo le Ong ha agito in modo irresponsabile. Ha ordinato un respingimento collettivo in mare, mettendo di fatto a rischio la vita di 500 individui e costringendoli a un pericoloso viaggio di oltre 300 chilometri fino a farli rinchiudere nei centri di permanenza libici conosciuti per essere una detenzione infernale. Ciò che rende ancora più sconcertante questa situazione è il silenzio delle autorità competenti. Non solo non hanno risposto alle richieste di soccorso e aiuti delle organizzazioni di soccorso civile, come Alarm Phone, Emergency e altre, ma hanno anche mantenuto il segreto sulla sorte del gruppo. Le Ong hanno giustamente denunciato le azioni delle autorità italiane e maltesi, sottolineando come la mancanza sistematica di assistenza in mare da parte di Malta, all'interno della sua zona di competenza, fosse già nota da tempo. Pertanto, le autorità italiane avrebbero dovuto intervenire per proteggere le 500 vite in pericolo e garantire il loro sbarco in un luogo sicuro.

Questo fallimento nell'adempimento del dovere umanitario minaccia i valori fondamentali dell'Unione Europea e solleva gravi preoccupazioni sulla gestione delle crisi migratorie nella regione. La storia di queste 500 persone fuggite dalla guerra e dalla prigionia in Siria e successivamente riportate in Libia rappresenta una tragica testimonianza dei gravi abusi dei diritti umani e dell'indifferenza delle autorità competenti. È fondamentale che venga fatta luce su questo incidente, che vengano assunte responsabilità e che si adottino misure concrete per evitare che situazioni simili si ripetano in futuro. La protezione dei diritti umani e la salvaguardia delle vite umane dovrebbero essere la priorità assoluta nelle operazioni di soccorso e nell'affrontare la questione delle migrazioni. Ricordiamo che la Libia non può essere considerato un Paese sicuro, ma si continuano a fare accordi. Essere una persona migrante in Libia significa infatti essere costantemente a rischio di essere: arrestato, detenuto, abusato, picchiato, sfruttato. Eppure, oltre ai respingimenti, ricordiamo che l’Italia ha rinnovato il cosiddetto memorandum dove non si pone alcun limite alle violazioni dei diritti delle persone migranti in Libia.