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Una strada di Roma intitolata «all’avvocata delle donne Tina Lagostena Bassi», per «tenere alta la memoria per le nuove generazioni» di chi ha cambiato per sempre il processo per stupro. È la mozione del Pd votata all’unanimità martedì scorso in assemblea capitolina «dopo aver ricordato l’omicidio di Giulia Cecchettin», la ragazza di 22 anni per la cui morte è accusato l’ex fidanzato Filippo Turetta.
La proposta porta la firma dell’avvocata e consigliera comunale dem Cristina Michetelli, che dopo l’ennesimo femminicidio registrato nell’ultimo anno ha voluto inviare un messaggio importante nell’ambito delle attività di contrasto alla violenza di genere. Un segnale di tipo culturale, «un tributo alla memoria di chi ha difeso tante brave ragazze, nostre figlie e sorelle, da quei “bravi ragazzi”».
Il legame è chiaro: “rispolverare” le battaglie di Tina Lagostena Bassi significa anche fermarsi a riflettere sui valori di una società ancora segnata da un «fenomeno ignobile», come ha ammonito il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
«Lagostena Bassi fu la prima ad affermare che le donne devono sentirsi libere di essere quello che vogliono, di fare ciò che vogliono e di andare dove vogliono, perché comunque un no è no e resta un no, da rispettare sempre», sottolinea Michetellli ricordando l’avvocata e parlamentare nata il 2 giugno 1926. Che negli anni ‘ 70 ha aperto la strada all’emancipazione femminile per “via giudiziaria”: prima sovvertendo un certo modo di fare i processi per stupro, con le sue memorabili arringhe, poi contribuendo all’affermazione dei diritti delle donne con quell’impegno politico culminato nel 1996 con l’approvazione della legge contro la violenza sessuale. Una norma «che non è stata, però, un traguardo, ma un punto di partenza, se è vero che ancora oggi il patriarcato, il machismo e la sopraffazione di genere vincono su un modello femminista, che non è riuscito ad affermarsi», riflette la consigliera del Pd.
Per la quale «è necessario lavorare sulla cultura dei diritti, sulla parità di tutti i generi, sul rispetto delle differenze». Proprio sulla scorta dell’attività di Lagostena Bassi, che con il suo impegno incessante ha favorito l’introduzione delle Quote rosa e dato vita alla riforma del diritto di famiglia. Icona indiscussa del movimento femminista, per vederla in azione bisogna tornare al 1978: Lagostena Bassi all’epoca è l’avvocata della “donna Fiorella”, una ragazza di 18 anni vittima di violenza carnale da parte di quattro uomini sulla quarantina. La giovane decide di denunciarli, e al momento dell’arresto il gruppetto ammette i fatti, per poi ritrattare durante l’interrogatorio.
In seguito gli imputati cambiano di nuovo versione: sostengono che il rapporto c’è stato, ma dietro il compenso di 200mila lire, poi non pagato per via di una “prestazione” poco soddisfacente. La difesa dei quattro è pronta a fare come da prassi: sul banco degli imputati ci si mette la donna. Ma nel tribunale di Latina, dove si celebra il processo, succede qualcosa di straordinario.
Lagostena Bassi ribalta lo schema, e quello a cui prende parte diventa il primo “Processo per stupro” trasmesso in Tv il 26 aprile 1979, sulla Rai. Il docufilm si apre con una scena emblematica: la difesa “offre” sul banco davanti alla Corte due milioni di lire come risarcimento del danno. Una cifra sufficiente a liquidare in fretta la faccenda, secondo gli imputati. Una «mazzetta gettata sul tavolo», secondo la legale. Che per conto di Fiorella rifiuta il risarcimento e chiede solo una lira in via simbolica. «Noi donne riteniamo che una violenza carnale sia incommensurabile», sottolinea l’avvocata. «Se invece che quattro oggetti d’oro - recita la sua arringa -, l’oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza? E questa è una prassi costante: il processo alla donna. La vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale. Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliare venire qui a dire “non è una puttana”. Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori. Io non sono il difensore della donna Fiorella. Io sono l’accusatore di un certo modo di fare processi per violenza». Parole “vecchie” di anni e ancora attuali, da tenere bene in mente anche oggi, una per una.