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Forse avremo fortuna e il virus non entrerà nelle carceri, ma se ciò dovesse accadere, le misure di gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid–19 presso gli Istituti penitenziari sono impraticabili per via del grave sovraffollamento. Mentre perfino in Iran sono state emanate misure alternative, da noi le direttive parlano di mettere – in caso di contagio – i detenuti in celle singole per l’isolamento sanitario. Ma le celle già sono tutte occupate. Secondo gli ultimi dati abbiamo 61. 230 detenuti su un totale (sottraendo le celle inagibili) di 47.231 posti effettivi. Se da una parte il governo ha emesso un decreto affinché le persone evitano assembramenti, il carcere non viene minimamente toccato da alcuna misura deflattiva straordinaria. Il Dubbio ha visionato le indicazioni del servizio di assistenza territoriale dell’Emilia Romagna emanate mercoledì in tutti gli istituti penitenziari della regione. Si legge che “in caso di positività al tampone, si dovrà prevedere un isolamento sanitario all’interno dell’istituto in locale adeguato, provvisto di servizio igienico ad uso esclusivo, salvo necessità di ricovero ospedaliero del soggetto”. Per quanto riguarda i cosiddetti “nuovi giunti”, si legge che “saranno effettuate nell’immediatezza dell’ingresso, e comunque prima possibile, ad opera del personale medico operante nella struttura che provvederà ad effettuare una visita medica con accurata intervista epidemiologica, finalizzata all’individuazione delle aree ove ha soggiornato il soggetto negli ultimi 14 giorni, tenendo conto della definizione di caso di cui alla circolare del ministero della Salute precitata e successivi aggiornamenti». E se nel caso emergessero elementi clinici ed epidemiologici riconducibili a caso sospetto di Covid-19? Secondo l’indicazione “sarà disposto l’isolamento sanitario della persona detenuta all’interno del carcere, concordandolo con la direzione dell’Istituto penitenziario, come già peraltro avviene per altre malattie infettive, salvo necessità di ricovero ospedaliero”. Tuttavia, si precisa che in caso di nuovi giunti provenienti da aree a rischio di cui al Dpcm1 del 1 marzo 2020 “Ulteriori disposizioni attuative del Decreto Legge 23/2/2020 n. 6 recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19” ed eventuali successivi aggiornamenti, detti detenuti saranno da subito allocati in quarantena, ovvero in “isolamento in camera di detenzione singola, con servizi igienici ad uso esclusivo, garantendo tutte le precauzioni dell’isolamento sanitario”. In tali casi i compiti previsti per l’operatore di sanità pubblica, saranno svolti dal personale sanitario che opera già all’interno dell’Istituto penitenziario, informando il Dipartimento di sanità pubblica dell’Ausl in caso di insorgenza di sintomatologia compatibile con la definizione di caso sospetto di Covid-19. Ma è fattibile? C’è il caso, come già riportato da Il Dubbio, del carcere di Parma dove non c’è alcun spazio per effettuare un isolamento sanitario. Ma il problema è da estendere anche in altri penitenziari dove ci sono sovraffollamenti che raggiungono vette allarmanti. Non a caso per i dirigenti dell'associazione “Nessuno tocchi Caino” Sergio d'Elia, Rita Bernardini ed Elisabetta Zamparutti, di fronte all'emergenza legata al coronavirus in carcere e alle misure restrittive con cui la si sta affrontando, chiede che il principio di prevenzione della "rarefazione sociale", come affermato dal viceministro alla salute Pierpaolo Sileri, volto a evitare ogni forma di aggregazione, trovi applicazione anche in carcere. Così come c’è l’associazione Antigone che ha scritto al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede per chiedere che ogni detenuto possa telefonare per 20 minuti ai propri familiari, a fronte dei 10 minuti a settimana previsti dalle norme dell’ordinamento penitenziario. Ma ha anche chiesto che la magistratura di sorveglianza si adoperi per favorire la concessione di provvedimenti di detenzione domiciliare e affidamento, che riducano la pressione sulle carceri e sugli operatori, per tutti coloro che sono a fine pena e hanno fatto un positivo percorso penitenziario