V. DELLA SOTTOMISSIONE DI CRAINQUEBILLE ALLE LEGGI DELLA REPUBBLICA

Ricondotto in prigione, Crainquebille si sedette sullo sgabello saldato al muro, pieno di stupore e di ammirazione. Egli non immaginava neppure che i giudici si fossero ingannati. Il Tribunale gli aveva nascosto le sue debolezze intime sotto la maestà delle forme. Non poteva egli credere di aver ragione contro dei magistrati di cui non aveva compreso le ragioni : gli era quindi impossibile di concepire qualche cosa di ingiusto in una sì bella cerimonia. Giacche, non andando egli alla messa né all'Eliseo, non aveva, nella sua vita, mai veduto spettacolo più bello di una sentenza in polizia correzionale. Egli sapeva bene di non aver gridato : «Morte alle vacche !» ; ma, ch’egli perciò fosse stato condannato a quindici giorni di prigione era, nella sua mente, un augusto mistero, uno di quegli articoli di fede ai quali i fedeli aderiscono senza comprenderli, una rivelazione oscura, illuminante, adorabile e terribile. Questo povero vecchio si riconosceva colpevole di aver misticamente offeso l’agente 64, come il fanciullo che va alle lezioni di catechismo si riconosce colpevole del peccato di Èva. Gli era stato detto, con la sua condanna, d’aver gridato : «Morte alle vacche !». Era dunque in una maniera misteriosa, sconosciuta a lui medesimo, che aveva gridato : «Morte alle vacche !». Egli era trasportato in un mondo soprannaturale. La sua condanna era la sua apocalisse. Se non gli riusciva di farsi un’idea netta del suo delitto, non gli riusciva neppure di farsi un’idea più netta della sua pena. La sua condanna gli era sembrata una cosa solenne, rituale e superiore, una cosa abbagliante, che non si comprende, non si discute, e di cui egli non doveva né dolersi, né compiangersi. E se in quel momento avesse visto il presidente Bourriche, con l’aureola in fronte, discendere, adornato di ali bianche, dal soffitto semiaperto della segreta, egli non si sarebbe punto sorpreso di questa nuova manifestazione della gloria giudiziaria. Ma avrebbe detto : «Ecco la mia causa che continua». Il giorno appresso il suo avvocato venne a fargli visita. — Ebbene, brav’uomo, non sembra che stiate poi tanto male ? Coraggio ! Due settimane passano presto. Non abbiamo troppo da rammaricarci. — In quanto a questo, si può ben dire che quei signori sono stati molto buoni, molto gentili ; non una parola grossa. Non l’avrei mai creduto. Il cipal aveva messo i guanti bianchi. Non l’avete visto voi? — Tutto sommato, abbiamo fatto bene a confessare. — Può darsi. — Crainquebille, ho una buona notizia da comunicarvi. Una persona caritatevole, che io ho interessato al vostro caso, mi ha consegnato per voi una somma di cinquanta franchi che sarà destinata al pagamento dell’ammenda alla quale siete stato condannato. — Allora, quando mi darete i cinquanta franchi? — Saranno versati in cancelleria. State tranquillo. — Fa lo stesso. Ringrazio lo stesso la persona. — Poi, dopo un’istante di meditazione, mormorò : — Non è una cosa ordinaria quella che mi accade. — Non esagerate, Crainquebille. Il vostro caso non è punto raro, fuori di qui. — Ma potreste almeno dirmi dove hanno cacciato il mio carretto?

VI. CRAINQUEBILLE DAVANTI ALL’OPINIONE PUBBLICA.

Uscito di prigione, Crainquebille riprese a spingere il suo carretto nella via di Montmartre e a gridare : Cavoli ! Navoni ! Carote ! Egli non aveva nè orgoglio nè onta della sua avventura, e non ne serbava alcun ricordo doloroso. L ’ avventura, nel suo spirito, gli faceva l’effetto come se ritornasse da uno spettacolo teatrale, da un viaggio o si destasse da un sogno. Egli era soprattutto contento di camminare nel fango, nelle strade della città, e di vedere sopra il suo capo il cielo acquoso e torbido come un ruscello, il bel cielo della sua città. Si arrestava a tutti gli angoli della strada a bere un bicchiere ; poi, libero e contento, dopo essersi sputato sulle mani per lubrificarne le palme callose, impugnava le stanghe del carretto e spingeva, mentre, davanti a lui, i passeri, come lui mattinieri e poveri, che cercavano il loro cibo sulla terra, si libravano a frotte nell ’ aria al suo grido: Cavoli! Navoni! Carote! Una vecchia massaia, che si era avvicinata, gli disse tastando dei sedani : — Che vi è dunque successo, papà Crainquebille? Sono più di tre settimane che non vi abbiamo visto. Siete stato malato? Infatti, siete un po’ pallido. — Vi dirò, mamma Mailloche : ho fatto il signore. Niente è mutato nelle sue abitudini : solo si reca più spesso del solito sotto la grondaia, perchè l’idea dell’ozio gli piace ora, e spera sempre di fare la conoscenza di qualche persona caritatevole. E alla sera rientra alquanto brillo nel suo soppalco. Si stende su un tavolaccio, si avvoltola attorno al corpo i sacchi che gli ha prestato il venditore di marroni all’angolo della sua strada e che gli servono da coperta, e pensa : «In prigione non si sta male. C’è tutto quello che occorre. Ma tuttavia si sta meglio a casa propria». Ma la sua contentezza fu di breve durata. Ben presto si accorse che i suoi clienti gli facevano brutta ciera. — Ho dei bellissimi sedani, mamma Cointreau !... — Non mi occorre niente.

— Come, non vi occorre niente? Non vivrete mica d’aria, voi ! Ma mamma Cointreau, senza dargli risposta, rientra fieramente nel grande forno di sua proprietà. I bottegai e i portinai, prima sempre assidui attorno al suo carretto verdeggiante e fiorito, ora lo schivano. Giunto alla calzoleria dell’Angelo Custode, il punto dove cominciarono le sue avventure giudiziarie, egli chiamò : — Signora Bayard, mamma Bayard, voi dovete darmi i quindici soldi dell’altra volta. Ma mamma Bayard, che sedeva al suo banco, non si degnò neppure di volgere la testa. Tutta la via Montmartre sapeva che papà Crainquebille usciva di prigione, e tutta la via Montmartre non lo riconosceva più. La notizia della sua condanna era giunta fino al sobborgo e all’angolo tumultuoso di via Richer. E quivi, verso mezzodì, egli scorse la signora Laura, una sua buona e fedele cliente, che osservava a capo chino la verdura sul carretto del piccolo Martino. Ella tastava un grosso cavolo. I suoi capelli brillavano al sole come un fascio abbondante di fili d ’ oro. E il piccolo Martino, un coso alto quattro spanne, uno stupidello, le giurava, la mano sul cuore, che non avrebbe trovato in tutto il mercato verdura più bella della sua. A quello spettacolo il cuore di Crainquebille si straziò. Spinse il suo carretto incontro a quello del piccolo Martino e disse alla signora Laura, con una voce lamentevole e rotta : — Non sta bene farmi torto. La signora Laura — e lo ammetteva ella medesima — non era nata duchessa ; motivo per cui non in società s’era fatta un’idea del carrozzone dei detenuti e del Deposito. Ma si può ben essere oneste in tutte le condizioni, non è vero? Ciascuno ha il suo amor proprio e non si ama avere a che fare con un individuo che esce di prigione. Così ella non rispose a Crainquebille che simulando un altero disgusto. Allora il vecchio venditore ambulante, risentitosi dell’affronto, urlò : — Va, prostituta ! La signora Laura lasciò cadere dalle mani il cavolo verde, gridando : — E vattene tu, dunque, vecchio straccione ! Esce ora di prigione e già insulta la gente ! Crainquebille, così, a sangue freddo, non avrebbe mai rimproverato alla signora Laura la sua condizione. Egli sapeva troppo bene che non si può far sempre ciò che si vuole e che non si può scegliere il proprio mestiere nella vita, e che c’è della buona gente in tutti i ceti di persone. Crainquebille aveva l’abitudine di ignorare furbescamente ciò che facevano le sue clienti nelle loro case, e non disprezzava nessuno. Ma ora era fuori dalla grazia di Dio. E ripeté per tre volte di seguito alla signora Laura i nomi di prostituta, di carogna e di baldracca. Un circolo di curiosi si formò attorno alla signora Laura e a Crainquebille, che continuavano a scambiarsi ingiurie ancora più solenni e avrebbero di certo sgranato ciascuno tutto il proprio rosario, se un agente subitamente intervenuto non li avesse col suo silenzio e la sua immobilità, resi di botto muti e immobili come lui. Allora si separarono. Ma questa scena finì di perdere Crainquebille nell’animo degli abitanti del sobborgo di Montmartre e di via Richer.

VII. LE CONSEGUENZE

Ed il povero vecchio andava mormorando : — Per certo, è una prostituta. Non c’è femmina più puttana di lei. Ma nel fondo del cuore non era questo il rimprovero che le faceva. Egli non la disprezzava di essere quello che era. La stimava, piuttosto, sapendola economa e regolata. Altre volte avevano spesso chiacchierato volentieri insieme. Ella gli parlava dei suoi parenti che abitavano in campagna. Allora tutti e due esprimevano lo stesso desiderio di coltivare un piccolo orto o di allevare dei polli. Era una buona cliente, la signora Laura. Ma ora, a vederla comprare i cavoli dal piccolo Martino, un coso alto quattro spanne, uno stupidello qualunque, ne aveva ricevuto un gran colpo nello stomaco ; e quando si vide per giunta disprezzato, la mosca gli era saltata al naso... e allora, diamine !... Ma il peggio era che la signora Laura non era la sola a trattarlo come un galeotto. Ora nessuno voleva più riconoscerlo. Tutti come la signora Laura, la signora Cointreau, la fornaia, la signora Bayard, la calzolaia dell’Angelo Custode, lo disprezzavano e lo respingevano. Tutta la società, insomma. E allora, perchè l’avevano messo per quindici giorni all’ombra, se non poteva più vendere i suoi porri? Era giusto ciò? Era di buon senso far morire di fame un brav’uomo solo perché aveva avuto qualche difficoltà con i poliziotti? S’egli non poteva più vendere i suoi legumi, non gli rimaneva che crepare. Come il vino mal conservato, così anch’egli divenne acido. Dopo quello scambio d ’ ingiurie con la signora Laura, le scene si ripeterono un po’ con tutti. Per un nonnulla, diceva il fatto loro alle clienti, senza tante cerimonie. Se esse indugiavano a lungo a tastare la verdura, egli le aggrediva violentemente coi nomi di empiastri e di avaracce ; e parimenti, al Mercato, stuzzicava beffardamente i compagni. Il venditore di marroni, suo amico, che non lo riconosceva più, dichiarava che quel cristianaccio di Crainquebille era un vero porcospino. Non si poteva negarlo : egli diveniva screanzato, litigioso, sboccato e insolente. Trovando la società imperfetta, egli aveva meno facilità di un professore della Scuola delle scienze morali e politiche per esprimere le sue idee sui vizi del sistema e sulle riforme necessarie, talché neanche i suoi pensieri si sviluppavano nella sua' testa con ordine e misura. L a sventura lo rendeva ingiusto. Se ne vendicava su coloro che non gli avevano fatto alcun male e qualche volta sui più deboli di lui. Una volta suonò un poderoso ceffone al piccolo Alfonso, il figlio dell’oste, il quale gli aveva chiesto se si stava veramente bene in gattabuia. Crainquebille lo schiaffeggiò e gli disse : — Moccioso ! Tuo padre dovrebbe esserci in gattabuia invece di arricchirsi a vendere il veleno ! Atto e parole che non gli facevano certo onore; giacché, come giustamente gli osservò il venditore di marroni, non si deve mai battere un fanciullo, nè rimproverargli suo padre, che egli non ha scelto. Inoltre Crainquebille s’era dato al bere. Meno denaro guadagnava e più ingozzava acquavite. Ed essendo stato sempre economo e sobrio, si meravigliava lui per il primo di quel cambiamento. — Io non sono mai stato un bettolante — diceva. — Si vede che più si invecchia e meno si ragiona. Talvolta, però, giudicava severamente la sua condotta e la sua pigrizia : — Crainquebille, vecchio mio, tu non sei più buono che ad alzare gomito ! Talvolta anche tentava d ’ ingannare sé stesso, persuadendosi che beveva per bisogno : — Bisogna che di quando in quando io beva un bicchiere per darmi forza e per rinfrescarmi. Certamente io debbo avere qualche cosa che mi brucia dentro, e non c’è che una buona bevanda che possa rinfrescarmi. Ma spesso gli accadeva di mancare alla vendita mattutina e allora si riforniva di verdura avariata che gli lasciavano a credito. Un giorno sentendosi le gambe fiacche e il cuore stanco, lasciò il suo carretto nella rimessa e trascorse tutto il santo giorno a girare davanti al banco di mamma Rosa, la trippaiola, e davanti a tutte le grondaie del Mercato. E la sera, seduto su un paniere, pensando al suo stato ebbe coscienza del suo abbrutimento. Ricordò la forza di un tempo e i suoi antichi lavori, le lunghe fatiche e i prosperi guadagni, i giorni innumerevoli, uguali e felici; e i cento passi che faceva tutte le notti sulla piazza del Mercato in attesa della distribuzione ; e i legumi caricati a bracciate e disposti con arte sul carretto ; e il caffè di mamma Teodora, ingoiato d ’ un sorso, ancor caldo, il piede sollevato, le stanghe solidamente impugnate; e il suo grido, vigoroso come il canto del gallo, che lacerava l’aria mattutina, e la sua corsa per le vie popolate, e tutta la sua vita di innocente e rude cavallo umano, che, per mezzo secolo, aveva portato col suo negozio rotante, ai cittadini stanchi dalle veglie e dagli affanni, la fresca messe degli orti. E, scuotendo la testa, sospirò : — No ! non ho più il coraggio di una volta. Sono finito. È vero : tanto va la secchia al pozzo finché ci lascia il manico. E poi, dopo la condanna, non ho più lo stesso carattere. Non sono più lo stesso uomo. Si sentiva demoralizzato. Un uomo in quello stato voleva dire un uomo caduto a terra e incapace di risollevarsi. Tutte le persone che passavano dovevano calpestarlo.

VIII. LE ULTIME CONSEGUENZE

E venne la miseria, la miseria nera. Il vecchio venditore ambulante, che un tempo ritornava dal sobborgo di Montmartre con le tasche ricolme di pezzi da cinque franchi, ora non possedeva un quattrino. Era d’inverno. Espulso dal suo soppalco, dormì le notti sotto i carretti, nella rimessa. Essendo le piogge cadute per ventiquattro giorni, le fogne strariparono e la rimessa ne fu allagata. Accoccolato nel suo carretto, al di sopra delle acque avvelenate, in compagnia dei ragni, dei topi e dei gatti famelici, egli pensava nel buio fitto. Non avendo mangiato niente nella giornata e non disponendo più per ripararsi dal freddo e dall’umidità dei sacchi del venditore di marroni, gli tornarono alla memoria le due settimane durante le quali il Governo gli aveva dato da vivere e da coprirsi. Invidiò la sorte dei prigionieri, che non soffrono né freddo né fame, e gli venne un’idea : — Ma sì ! Giacché conosco il trucco, perché non dovrei servirmene? Si alzò e uscì nella via. Potevano essere poco più delle undici. Faceva un tempo nero e freddo. Una pioggerella fine fine cadeva, più fastidiosa e più penetrante della pioggia grossa. Rari passanti scivolavano rasente i muri. Crainquebille costeggiò la chiesa di Santo Eustachio e svoltò nella via Montmartre. La via era deserta. Una guardia era ritta sul marciapiede, al principio della chiesa, sotto il becco di un lume a gas, e si vedeva, attorno alla fiammella, cadere una pioggerella rossastra. L ’ uomo la riceveva tutta sul cappuccio : aveva l’aspetto intirizzito, ma sia che preferisse la luce all’oscurità, sia che fosse stanco di camminare, egli rimaneva immobile sotto il suo fanale, di cui forse se ne faceva un compagno, un amico. Quella fiammella tremolante era la sua sola distrazione nella notte solitaria. L a sua immobilità non sembrava affatto umana; il riflesso dei suoi stivali sul marciapiede bagnato, simile a un piccolo lago, lo prolungava inferiormente e gli dava, di lontano, l’aspetto di un mostro anfibio, a metà uscito dalle acque. Più da presso, incappucciato e armato, aveva a un tempo un’aria monacale e militare. I grossi lineamenti del viso, resi ancora più grossi dall’ombra del cappuccio, erano pacifici e tristi. Aveva la barba folta, corta e grigia. Era un vecchio sergot ( 1) di una quarantina d ’ anni all’incirca. Crainquebille si avvicinò cautamente all’ agente, e, con voce esitante e debole, gli disse : — Morte alle vacche ! E attese l’effetto della frase fatale. Ma essa non fu seguita da alcun effetto. La guardia restò muta e immobile, le braccia incrociate sotto il mantello corto. I suoi occhi vivi e aperti, che rilucevano nel buio, fissarono Crainquebille con tristezza, diffidenza e disprezzo. Crainquebille, sorpreso, ma serbando ancora un resto di risoluzione, balbettò : — Vi ho detto : Morte alle vacche ! Vi fu un lungo silenzio, durante il quale la pioggia fine e rossastra continuò a cadere, mentre un’oscurità gelida avvolgeva lo sguardo. Infine la guardia parlò : — Queste cose non si devono dire... No, certamente, non si devono dire. Alla vostra età si dovrebbe avere un po’ più di prudenza. Continuate per la vostra strada. — Perchè non mi arrestate? — chiese Crainquebille. L ’ agente dell’ordine scosse la testa sotto il cappuccio umido : — Se si dovessero arrestare tutti gli ubbriachi che dicono quello che non dovrebbero dire, si starebbe freschi, n oi!... E poi, a che gioverebbe? Annichilito da quel disdegno magnanimo, Crainquebille rimase a lungo ebete e muto, i piedi immersi nell’acqua. E prima di andarsene, tentò di giustificarsi : — Non è mica per voi che io ho detto : «Morte alle vacche !». Nè per voi nè per nessun altro. È per una mia idea. — Che sia per una vostra idea o per altro, non importa — rispose la guardia con austera dolcezza. — Ma sono cose che non si devono dire. Perchè quando un uomo compie il suo dovere e sopporta tante sofferenze, non si deve insultarlo con delle parole futili... Vi ripeto di continuare per la vostra strada. E Crainquebille, la testa bassa e le braccia ciondoloni, s’internò nell’ombra...

FINE

l’avventura

«USCITO DI PRIGIONE, CRAINQUEBILLE RIPRESE A SPINGERE IL SUO CARRETTO NELLA VIA DI MONTMARTRE E A GRIDARE : CAVOLI !

NAVONI ! CAROTE !

EGLI NON AVEVA NÈ ORGOGLIO NÈ ONTA DELLA SUA AVVENTURA, E NON NE SERBAVA ALCUN RICORDO DOLOROSO.

L ’ AVVENTURA, NEL SUO SPIRITO, L’GLI FACEVA L’EFFETTO COME SE RITORNASSE DA UNO SPETTACOLO TEATRALE, DA UN VIAGGIO O SI DESTASSE DA UN SOGNO »

la fiammella

«QUELLA FIAMMELLA TREMOLANTE ERA LA SUA SOLA DISTRAZIONE NELLA NOTTE SOLITARIA.

L A SUA IMMOBILITÀ NON SEMBRAVA AFFATTO UMANA; IL RIFLESSO DEI SUOI STIVALI SUL MARCIAPIEDE BAGNATO, SIMILE A UN PICCOLO LAGO, LO PROLUNGAVA INFERIORMENTE E GLI DAVA, DI LONTANO, L’ASPETTO DI UN MOSTRO ANFIBIO, A METÀ USCITO DALLE ACQUE.

PIÙ DA PRESSO, INCAPPUCCIATO E ARMATO, AVEVA A UN TEMPO UN’ARIA MONACALE E MILITARE »