II. CRAINQUEBILLE DAVANTI ALLA GIUSTIZIA

Il presidente Bourriche consacrò sei buoni minuti all’ interrogatorio di Crainquebille. Questo interrogatorio avrebbe recato maggior luce se l’accusato avesse risposto alle domande che gli vennero rivolte. Ma Crainquebille non aveva l’abitudine alla discussione e, vedendosi in tale compagnia, la paura e il rispetto gli immobilizzavano la bocca. Perciò rimase silenzioso e il presidente formulò da sè stesso le risposte ; le quali erano molto gravi e compromettenti per l’accusato. — Infine — concluse il presidente — voi riconoscete di aver detto : «Morte alle vacche!» ? — Io ho detto: «Morte alle vacche!» perché il signor agente ha detto: «Morte alle vacche!». Allora io ho detto: «Morte alle vacche!». Egli voleva dimostrare che, stupito dall’imputazione più imprevista, aveva, nella sorpresa, ripetute le parole strane che gli si attribuivano falsamente e ch’egli non aveva di certo pronunciate. Egli aveva detto : «Morte alle vacche!» come avrebbe detto: «Io tenere linguaggio ingiurioso? E avete potuto crederlo?». Ma il signor presidente Bourriche non la intese così. — Voi dunque pretendete — disse — che l’agente abbia profferito questo grido per il primo?

Crainquebille rinunciò a spiegarsi. Era una cosa troppo difficile. — Voi non insistete. Avete ragione — disse il presidente. E fece chiamare i testimoni. L ’ agente 64, a nome Bastiano Matra, giurò di dire la verità e niente altro che la verità. Poi fece la sua deposizione in questi termini : — Essendo di servizio, il 20 ottobre, verso il mezzodì, notai, nella via di Montmartre, un individuo che mi sembrò essere un venditore ambulante e che teneva il suo carretto indebitamente fermo all’altezza del numero 328, ciò che fu causa d ’ ingombro ad altre vetture. Io gl’intimai tre volte l’ordine di circolare, e tutte e tre le volte egli ricusò di eseguirlo. E mentre l’avvertivo che avrei steso il verbale di rifiuto d ’ obbedienza, egli mi rispose, gridando : «Morte alle vacche !», ciò che mi sembrò essere ingiurioso. Tale deposizione, ferma e misurata, fu accolta con evidente favore dal Tribunale. La difesa aveva citato la signora Bayard, la calzolaia, e il signor Davide Matthieu, primario dell’ospedale Ambroise- Paré, e Ufficiale della Legione d’onore. La signora Bayard non aveva visto nè udito nulla. Il dott. Matthieu testimoniò che si trovava nella folla raccolta Intorno all’agente mentre intimava al venditore ambulante di circolare. La sua deposizione provocò un incidente. — Io sono stato testimonio della scena — egli disse. — E ho notato che l’agente si è ingannato : egli non è stato insultato. Io mi avvicinai e gli feci osservare l’errore. Ma l’agente mantenne l’arresto del venditore ambulante e invitò me a seguirlo dal commissario. Ciò che io feci ; e ripetei la mia dichiarazione dinanzi al commissario. — Voi potete sedervi — disse il presidente. — Usciere, richiamate il testimonio Matra. Matra, quando voi avete proceduto all’arresto dell’accusato, il signor Davide Matthieu non vi ha fatto osservare che vi eravate ingannato ? — Vale a dire, signor presidente, che anche lui mi ha insultato. — E che cosa vi ha detto? — Mi ha detto : «Morte alle vacche!» Un mormorio confuso e delle risa si sollevarono dall’uditorio. — Potete ritirarvi — disse il presidente con precipitazione. Poi avvertì il pubblico che se quelle manifestazioni scandalose si fossero ripetute avrebbe fatto sgombrare l’aula. Nel frattempo la difesa agitava trionfalmente le maniche della toga, e tutti erano quel momento convinti che Crainquebille sarebbe stato assolto. Ristabilita la calma, l’avvocato Lemerle si alzò. Egli incominciò la sua difesa con l’elogio degli agenti della Prefettura «questi modesti servitori della società, che, mediante una retribuzione irrisoria, tollerano le più dure fatiche e affrontato dei continui pericoli, dando quotidianamente prova di eroismo. Essi sono dei vecchi soldati, che restano soldati. Soldati ! questa parola dice tutto... ». E l’avvocato Lemerle si librò, senza sforzo, ad elevatissime considerazioni sulle virtù militari. Chè egli era di quelli, disse «che non permettono a chicchessia di toccare l’esercito, quell’esercito nazionale al quale era fiero di appartenere». Il presidente approvò con un cenno della testa. L ’ avvocato Lemerle era, infatti, luogotenente della riserva ed era altresì candidato nazionalista del quartiere Vieilles- Haudriettes. Egli proseguì : — Non sarò certo io a negare i servigi modesti e preziosi che rendono giornalmente le guardie di città alla laboriosa popolazione di Parigi. E non avrei mai consentito di presentarvi, o signori, la difesa di Crainquebille se avessi riconosciuto in lui l’uomo capace di ingiuriare un agente dell’ordine e un vecchio soldato. Si accusa il mio cliente di aver detto : «Morte alle vacche !». Il senso di tale frase non è dubbio. Se voi aprite il Dizionario della lingua furbesca vi troverete : «Vachard, pigro, fannullone ; chi si stende pigramente a guisa di vacca, invece di lavorare. — Vacca, colui che si vende alla polizia ; cioè, spia. « Morte alle vacche !» si dice appunto in un certo mondo. Ma tutta la questione è qui : come Crainquebille l’ha detto? E ancora : l’ha veramente detto? Permettetemi, o signori, di dubitarne. «Io non sospetto l’agente Matra di alcuna cattiva intenzione. Ma egli compie, come abbiamo detto, una mansione penosa. Egli è talvolta stanco, spossato, esaurito. In queste condizioni egli può essere stato vittima di una specie di allucinazione dell’udito. Perchè quando egli viene a dirvi, o signori, che il dottor Davide Matthieu, Ufficiale della Legione d ’ onore, medico primario dell’ Ospedale Ambroise Paré, un principe della scienza e uomo d’esperienza, ha gridato : a Morte alle vacche ! », noi siamo costretti a riconoscere che Matra è posseduto dalla malattia dell’ossessione, e, se il termine non è eccessivo, dalla mania di persecuzione. « E quand’anche Crainquebille avesse gridato: (( Morte alle vacche !», resterebbe a sapere se questa frase ha, nella sua bocca, il carattere di un delitto. Crainquebille è il figlio naturale di una venditrice ambulante, perita miseramente fra sregolatezze d’ogni genere. Egli è nato alcoolizzato. Voi stessi lo vedete qui presente abbrutito da sessantanni di miseria. Orbene, o signori, voi affermerete che egli è un irresponsabile». L ’ avvocato Lemerle sedette e il presidente signor Bourriche lesse tra i denti una sentenza con la quale il tribunale condannava Gerolamo Crainquebille a quindici giorni di prigione e cinquanta franchi di ammenda. Il tribunale aveva fondato la sua convinzione sulla testimonianza dell’agente Matra. Condotto per i lunghi ed oscuri corridoi del Palazzo di Giustizia, Crainquebille provò un immenso bisogno di simpatia. Si volse verso l’agente che lo conduceva e lo chiamò tre volte. — Cipal!... Cipal!... Ehi! Cipal!... Poi sospirò: — Chi avrebbe detto soltanto quindici giorni fa che mi sarebbe accaduto quello che mi accade !...

Poi fece questa riflessione : — Parlano troppo in fretta, quei signori. Parlano bene, ma parlano troppo in fretta. Non ci si può spiegare con essi... Cipal, non trovate anche voi che parlano troppo in fretta? Ma il soldato camminava senza rispondere, né voltava la testa. Crainquebille gli chiese : — Perché non rispondete? Il soldato proseguiva in silenzio. — Si risponde pure a un cane ! — gli disse allora Crainquebille, con amarezza. — Perchè non mi parlate? Non aprite mai bocca, voi. Avete forse paura che vi puzzi il fiato?

IV. APOLOGIA DEL PRESIDENTE BOURRICHE

Qualche curioso e due o tre avvocati lasciarono l’udienza dopo la lettura della sentenza, quando il cancelliere già chiamava un’altra causa. Quelli che uscivano non facevano nessuna riflessione sul processo Crainquebille, che non li aveva nemmeno interessati e al quale non pensavano più. Solo il signor Giovanni Lermite, incisore all’acquaforte, che era capitato a caso al Palazzo di Giustizia, meditava su quanto aveva veduto e udito. E passando il suo braccio sulla spalla dell’avvocato Giuseppe Aubarrée : — Quel che si deve lodare al presidente Bourriche — gli disse — è di aver saputo difendersi dalle vane curiosità della mente e guardarsi da quell’orgoglio intellettuale che vuole tutto conoscere. «Opponendo l’una all’altra le deposizioni contraddittorie dell’agente Matra e del dottor Davide Matthieu, il giudice sarebbe penetrato in una via ove non s ’ incontra che dubbio ed incertezza. Il metodo che consiste nell’esaminare i fatti secondo le regole della critica è inconciliabile con la saggia amministrazione della giustizia. Se il magistrato commettesse la imprudenza di seguire questo metodo, i suoi giudizi dipenderebbero dalla sua sagacità personale, che è sovente meschina, e dalla fallibilità umana, che è costante. «Che ne sarebbe allora dell’autorità? Non si può negare, d'altra parte, che il metodo storico è del tutto improprio a fornirgli le certezze di cui ha bisogno. Basta ricordare l’avventura di Walter Raleigh. «Un giorno che Walter Raleigh, rinchiuso nella Torre di Londra, lavorava, secondo la sua abitudine, alla seconda parte della sua Storia del Mondo, una rissa scoppiò sotto la sua finestra. Egli si affacciò per osservare le persone che questionavano, e quando si rimise al lavoro aveva la ferma convinzione di averle bene osservate. Senonché il giorno dopo, avendo parlato del fatto con un suo amico che era stato presente alla lite e ci aveva anche parte, venne contraddetto da questo amico su tutti i punti. Riflettendo allora egli sulla difficoltà di conoscere gli avvenimenti lontani allorquando aveva potuto ingannarsi su quanto gli era passato sotto gli occhi, gettò al fuoco il manoscritto della sua storia. «Se i giudici avessero gli stessi scrupoli di sir Walter Raleigh, getterebbero anch’essi al fuoco tutte le loro istruttorie. E non ne avrebbero il diritto. Ciò sarebbe da parte loro un diniego di giustizia, un crimine. Bisogna rinunciare a sapere, ma non bisogna rinunciare a giudicare. Coloro che vogliono che le sentenze dei tribunali siano fondate sulla ricerca metodica dei fatti sono dei pericolosi sofisti e dei nemici perfidi della giustizia civile e della giustizia militare. «Il presidente Bourriche è una mente troppo giuridica per far dipendere le sue sentenze dalla ragione e dalla scienza, le cui conclusioni sono soggette ad eterne dispute. Egli le fonda su dei dogmi e le ricava dalla tradizione, così che i suoi giudizi eguagliano in autorità i comandamenti della Chiesa. Le sue sentenze sono canoniche : voglio dire ch’egli le cava da un certo numero di sacri canoni. «Vedete: per esempio, egli classifica le testimonianze non dai caratteri incerti e ingannevoli della verosimiglianza e dell’umana verità, ma da certi caratteri intrinseci permanenti e manifesti. Egli le calcola a peso d ’ arma» V’ha nulla di più semplice e di più saggio ad un tempo? Egli ritiene per irrefutabile la testimonianza di un agente dell’ ordine, astrazione fatta dalla sua umanità e concependo metafisicamente il solo numero di matricola, secondo le categorie della polizia ideale. Non che Matra ( Bastiano), nato a Cintomonte ( Corsica) gli sembri incapace di errare. Egli non ha mai supposto che Bastiano Matra fosse dotato di un grande spirito di osservazione, nè ch’egli applicasse all’esame dei fatti un metodo esatto e rigoroso. A vero dire, egli non considera Bastiano Matra, ma l’agente 64. «— Un uomo è fallibile — pensa il presidente Bourriche. Pietro e Paolo possono ingannarsi, Descartes e Gassendi, Leibnitz e Newton, Bichat e Claudio Bernard hanno potuto ingannarsi. Noi tutti ci inganniamo e in ogni momento. Le nostre ragioni di errare sono innumerevoli. Le percezioni dei sensi e i giudizi dello spirito sono sorgenti d’illusioni e cause d’incertezza. Non bisogna fidarsi della testimonianza di un uomo : Testis unus, testis nullus. Ma si può ben aver fede in un numero di matricola. «Bastiano Matra, di Cintomonte, è fallibile. Ma l’agente 64, astrazion fatta dalla sua umanità, non può fallare mai. Egli è un’entità. E un’entità non ha niente in sé di ciò che è negli uomini, e li turba e li corrompe, e li inganna. Essa è pura, inalterabile, unica. Perciò il tribunale non ha punto esitato a respingere la testimonianza del dottor Davide Matthieu, il quale non è che un uomo, per ammettere quella dell’agente 64, il quale è un’idea pura, come un raggio di Dio disceso sulla sbarra. « Procedendo in questa guisa il presidente Bourriche si assicura una specie d’infallibilità, la sola alla quale un giudice possa pretendere. Quando l’uomo che testimonia è armato di sciabola, è la sciabola che bisogna intendere e non l’uomo. L ’ uomo è spregevole e può aver torto. La sciabola non è affatto spregevole e ha sempre ragione. «Il presidente Bourriche ha profondamente penetrato lo spirito delle leggi. La società riposa sulla forza, e la forza deve essere rispettata come il fondamento augusto delle società. La giustizia è l’amministrazione della forza. Il presidente Bourriche sa che l’agente 64 è una particella del Principe. Il Principe risiede in ciascuno de’ suoi ufficiali. Distruggere l’autorità dell’agente 64 è indebolire lo Stato. Mangiare una foglia del carciofo è mangiare il carciofo, come dice Bossuet nel suo sublime linguaggio. ( Politique tirée de l’Ecriture sainte, passim). «Tutte le spade dello Stato sono rivolte nel medesimo senso. Opponendole le une alle altre si sovvertirebbe la Repubblica. Ed ecco perchè l’accusato Crainquebille fu condannato giustamente a quindici giorni di prigione e a cinquanta franchi di multa, sulla testimonianza dell’agente 64. Io credo che lo stesso presidente Bourriche giustificherebbe le alte e belle ragioni che ispirarono la sua sentenza press’a poco così : «— Io ho giudicato questo individuo in conformità a quanto ha dichiarato l’agente 64, poiché l’agente 64 è l’emanazione della forza pubblica. E per riconoscere la saggezza del mio operato, vi basti immaginare quello che sarebbe avvenuto se io avessi agito nel senso inverso. Vedreste subito come ciò sarebbe stato assurdo. Giacche se io giudicassi contro la forza, le mie sentenze non verrebbero eseguite. Notate, signori, che i giudici vengono obbediti appunto perché hanno la forza a loro disposizione. Senza i gendarmi, il giudice non sarebbe che un povero illuso. Io nuocerei a me stesso dando torto a un gendarme. D’altronde il genio delle leggi vi si oppone. Disarmare i forti e armare i deboli significherebbe mutare l’ordine sociale, che io ho la missione di conservare. La giustizia è la sanzione delle ingiustizie stabilite. La si vede mai opporsi ai conquistatori o contraria agli usurpatori? Quando si innalza un potere illegittimo, basta che essa lo riconosca per renderlo legittimo. Tutto sta nella forma, e non v’ha tra la colpa e l’innocenza che lo spazio di un foglio di carta bollata. — Stava a voi, Crainquebille, di essere il più forte. Se dopo aver gridato : «Morte alle vacche!» voi vi foste fatto proclamare imperatore, dittatore, presidente della Repubblica o semplicemente consigliere municipale, io vi assicuro che non vi avrei condannato a quindici giorni di prigione e a cinquanta franchi di ammenda. Vi avrei assolto sull’istante. Potete credermi. «Così, senza dubbio, avrebbe parlato il presidente Bourriche, poiché egli è una mente giuridica e sa ciò che un magistrato deve alla società, di cui egli difende i principi con ordine e regolarità. La giustizia è sociale. Non vi sono che i malvagi che la vogliono umana e sensibile. Essa si amministra con delle norme fisse e non con i brividi della carne e i lumi dell’intelligenza. E sopratutto non chiedete alla giustizia di essere giusta. Essa non ne ha bisogno. Non è la giustizia? E io vi dirò anche che l’idea di una giustizia giusta non ha potuto germogliare che nella testa di un anarchico. Il presidente Magnard pronuncia, è vero, delle sentenze abbastanza eque. Ma gli vengono subito annullate : ed è la giustizia che le annulla. «Il vero giudice calcola le testimonianze a peso d’arma. Come si è visto nella causa Crainquebille e in altre cause celebri. Così parlò il signor Giovanni Lermite, percorrendo da un capo all’altro la sala dei Passi Perduti. L’avvocato Giuseppe Aubarrée, che conosceva il Palazzo di Giustizia, gli rispose grattandosi la punta del naso : — Se voi desiderate sapere il mio giudizio, vi dirò che io non credo che il signor presidente Bourriche si sia innalzato fino ad una sì alta metafisica. A mio parere, ammettendo la testimonianza dell’agente 64, come l’espressione della verità, egli ha fatto semplicemente ciò che ha sempre veduto fare. È nell’imitazione che bisogna ricercare la ragione della maggior parte delle azioni umane. Uniformandosi alla consuetudine si passerà sempre per un onest’uomo. Si chiamano persone per bene appunto coloro che fanno come gli altri.

CONTINUA...

«morte alle vacche»

«EGLI VOLEVA DIMOSTRARE CHE, STUPITO DALL’IMPUTAZIONE PIÙ IMPREVISTA, AVEVA, NELLA SORPRESA, RIPETUTE LE PAROLE STRANE 4CHE GLI SI ATTRIBUIVANO FALSAMENTE E CH’EGLI NON AVEVA DI CERTO PRONUNCIATE.

EGLI AVEVA DETTO: «MORTE ALLE VACCHE!» COME AVREBBE DETTO: «IO TENERE LINGUAGGIO INGIURIOSO? E AVETE POTUTO CREDERLO?».

MA IL SIGNOR PRESIDENTE BOURRICHE NON LA INTESE COSÌ... »

la forza pubblica

«ED ECCO PERCHÈ L’ACCUSATO CRAINQUEBILLE FU CONDANNATO GIUSTAMENTE A QUINDICI GIORNI DI PRIGIONE E A CINQUANTA FRANCHI DI MULTA, SULLA TESTIMONIANZA DELL’AGENTE 64. IO CREDO CHE LO STESSO PRESIDENTE BOURRICHE GIUSTIFICHEREBBE LE ALTE E BELLE RAGIONI CHE ISPIRARONO LA SUA SENTENZA PRESS’A POCO COSÌ : «IO HO GIUDICATO QUESTO INDIVIDUO IN CONFORMITÀ A QUANTO HA DICHIARATO L’AGENTE 64, POICHÉ L’AGENTE 64 È L’EMANAZIONE DELLA FORZA PUBBLICA »