PHOTO
ASSOLTO IN APPELLO: I GIUDICI HANNO RICONOSCIUTO L’ERRORE DEL GUP
Il trojan non poteva essere utilizzato per il reato contestato. Ma nonostante questo un cittadino albanese, M. J., è stato condannato in primo grado a quasi 10 anni di carcere, per tutti i capi d’imputazione basati su quei colloqui privati. Un errore sanato in appello, dove i giudici hanno riconosciuto la gaffe compiuta da cinque toghe, tre rappresentanti dell’accusa e due giudici. A raccontare la vicenda è l’Agi, che ha ricostruito la storia dell’uomo, arrestato il 23 marzo del 2021 per reati di droga grazie alle conversazioni ascoltate dagli investigatori che avevano piazzato in casa e altrove un trojan, il famigerato captatore informatico capace di assorbire l’intera vita di chi ne finisce “vittima”. In primo grado M. J., accusato di traffico e detenzione di sostanze stupefacenti, era stato condannato col rito abbreviato a 9 anni e 4 mesi dal gup lecchese Salvatore Catalano, che aveva accolto la richiesta del pm Paolo Del Grosso. E ciò nonostante l’avvocato Francesca Beretta, difensore dell’uomo, avesse segnalato la nullità delle intercettazioni: in quel momento, infatti, il trojan poteva essere utilizzato solo in luoghi di privata dimora per reati di criminalità organizzata. L’avvocato ha dunque riproposto la questione in appello, dove il procuratore generale ha chiesto ancora la condanna. Ma il collegio milanese presieduto da Antonio Nova ha riconosciuto l’errore, sottolineando che la sentenza del giudice di Lecco è «illogica ed erronea» perché per tutti i procedimenti iscritti prima del 29 febbraio 2020, e quello in discussione risaliva al 2019, si applica una pronuncia della Cassazione del 2016 per cui il trojan può essere installato solo per reati di criminalità organizzata e non per i reati comuni, come quelli di droga.
«Visto il divieto assoluto di utilizzo del captatore in procedimenti diversi da quella di criminalità organizzata, tutte le conversazioni intercettate con quello strumento - affermano i giudici di secondo grado - sono inutilizzabili anche nel giudizio abbreviato, trattandosi di prove illegali». La condanna a M. J. è stata quindi ridotta di quasi 8 anni e rideterminata in un anno e sei mesi di carcere con immediata revoca della custodia cautelare. Per i reati commessi dopo il 31 agosto del 2020, infatti, è tuttora in vigore la riforma Orlando che consente i trojan anche per reati comuni ma in presenza di condizioni molto rigide a garanzia dell’indagato.
«La corte d’Appello ha ripristinato e ridato vigore al senso di giustizia - ha commentato Beretta all’Agi - e ha ricollocato sul piano della legalità una vicenda autorizzata e avallata da diversi operatori del diritto che si sono succeduti. Non è difficile comprendere quali siano state le conseguenze di questo abuso dello strumento investigativo ai danni degli indagati, alcuni dei quali sono stati privati della libertà in modo illegittimo. Consideriamo inoltre che un captatore ha un costo giornaliero di 300- 400 euro al giorno, soldi che lo Stato ha speso inutilmente».