Non c’è niente da fare. Passa il tempo, passano gli anni, ma sul voto degli avvocati nei Consigli giudiziari il pregiudizio è intramontabile: si rischierebbero “indebite interferenze sull’indipendenza esterna dei magistrati”, “indebiti tentativi di pressione” e si farebbe balenare, pensate un po’, nei magistrati altrimenti immuni dalla tentazione di farsi raccomandare (sic), la “conformistica convenienza di buoni rapporti con l’avvocatura ai fini di una serena progressione in carriera”. Lo scrive Gian Carlo Caselli in un intervento molto sgradevole, anzi proprio offensivo per la professione forense, sul “Fatto quotidiano” di oggi.
Sì, parliamo di una figura, certamente autorevole, dell’ala durissima della magistratura penale e antimafia, la più arroccata, intransigente e sospettosa nei confronti delle riforme della giustizia. Ma è incredibile come nei puntuali, incupiti e, appunto, offensivi allarmi sul diritto degli avvocati a esprimersi sulle “valutazioni di professionalità” (cioè le promozioni finalizzate agli scatti stipendiali) dei magistrati, ci si dimentichi sempre e comunque di alcuni dettagli. In particolare: se davvero esistesse un pericolo di assoggettamento, per giudici e pm, all’avvocatura, allora perché non dovrebbe profilarsi identico rischio quando un giudice si sottopone al parere dei pm eletti nel Consiglio giudiziario? Perché non viene mai evocato anche il rischio che un sostituto procuratore della Repubblica si vendichi di quel collega gip che gli aveva rigettato una richiesta cautelare o del gup che gli aveva negato il rinvio a giudizio?
Macché: Caselli evoca solo i “difensori dei mafiosi tenuti a tutelare e far valere, dei loro clienti, ogni interesse non soltanto processuale” (cioè i legali di persone accusate di mafia sarebbero, inutile girarci intorno, complici dei mafiosi…), o anche lo “sprovveduto 'avvocaticchio' che smania dalla voglia di far sapere al mondo che lui è più bravo del giudice che gli ha dato torto” (perché invece di giudici che ti danno torto senza leggersi le carte non si mai sentito parlare, vero?), o ancora del “sogno oscuro di vari avvocati: cantarle a quel presuntuoso di magistrato chiuso in una torre d’avorio” e magari “sbattergli in faccia presunte carenze tecnico-giuridiche che hanno portato a verdetti che non si sa come giustificare al cliente”.

Veramente riprovevoli questi avvocati, che pretendono pure di immischiarsi della virtù di quei sant’uomini dei magistrati. Ma poi, tanto per riportare la questione nella sua effettiva sostanza, andrebbe chiarito il quadro reale definito dalle nuove norme. Nei Consigli giudiziari, gli organismi per l’autogoverno della magistratura che coadiuvano, nei singoli distretti di Corte d’appello, il Csm, ci sono in genere una dozzina di componenti togati e quattro laici, dei quali tre sono appunto avvocati.

Secondo la riforma Cartabia del Csm (la legge 71 del 2022) – attuata, in ossequio alla dettagliatissima delega dell’Esecutivo Draghi, dal decreto legislativo 44 del 2024 emanato dall’attuale governo – gli avvocati esprimono un unico voto (contro i 12, in genere, dei magistrati) anche quando sono tre. Quindi non cambieranno mai l’esito della pronuncia espressa, dal “mini-Csm”, sulla professionalità del giudice o del pm in questione. Potranno, questo sì, fare una cosa: accontentarsi di essere mosche bianche schiacciate dalla maggioranza togata ma almeno togliersi lo sfizio di dire alla stampa locale “guardate, le toghe del Consiglio giudiziario hanno espresso un parere entusiasta su questo giudice, nonostante noi avessimo segnalato diversi episodi sgradevoli di cui si era reso protagonista”.

Con un meccanismo simile, si contribuisce semplicemente a evitare che i magistrati vengano puntualmente tutti promossi, e si incrina l’autodifesa corporativa. È contro questo pericolo che Caselli s’inalbera? Se è così, almeno risparmiateci i giri di parole e le allusioni, nei confronti degli avvocati e delle pratiche manipolative di cui solo loro, come dicono i paladini della magistratura intoccabile, sarebbero capaci. Non tanto perché un simile travisamento della realtà abbia speranze di essere preso sul serio, ma proprio per non sentirsi presi in giro.