È nato per via giudiziaria. Silvio Berlusconi non sarebbe esistito, nella storia politica italiana, se non ci fosse stata Mani pulite. Non avrebbe fondato Forza Italia se non si fosse trovato attorno le macerie della Prima Repubblica. È stata la giustizia il segno della sua traiettoria. All’origine, ma anche nel suo dispiegarsi.

Già nella primissima fase, nel suo primo breve mandato da presidente del Consiglio, Berlusconi ha visto scandire il proprio rapporto con gli avversari prima dal veto del “Pool” sul decreto Biondi e poi dall’avviso di garanzia notificatogli nel pieno del G7 a Napoli. Poi ancora, dai tentativi di reagire all’accerchiamento dei magistrati attraverso leggi mirate, cosiddette ad personam.
Lui considerava quei provvedimenti (alcuni subito falcidiati dalla Consulta come i lodi “Alfano” e “Schifani”, altri decisamente più universali al punto che nessuno oggi si sognerebbe di sopprimerli, come la depenalizzazione del falso in bilancio) una difesa più che legittima. Eppure quelle leggi hanno cambiato la percezione del garantismo in Italia. E qui siamo al punto.

Berlusconi è stato il paladino del garantismo. Sul piano mediatico, certo, più che nella concretezza politica. Ha di sicuro incarnato un’idea di diritto penale liberale alternativa al panpenalismo spesso abbracciato dal centrosinistra. Ma così, nell’intrecciarsi fra visione liberale e scudi personali, Berlusconi ha inciso anche in negativo sulla percezione che gli italiani hanno delle riforme penali. È passata l’idea secondo cui chi difende una visione garantista tutela il privilegio. Ancora oggi il sospetto suscitato dal garantismo in gran parte dell’opinione pubblica deriva dalla matrice negativa impressa nel “quasi ventennio” berlusconiano.
Adesso parlare di giustizia sarà diverso? Può darsi. Può darsi che la fine di Berlusconi cancelli quel mito incapacitante. Che sdogani davvero il garantismo. Lui lo ha inventato, per certi aspetti, o almeno gli ha conferito una dimensione ben diversa dalla nicchia in cui era rimasto nascosto fino alla “discesa in campo” del ’94. Ora forse la caduta del tabù, il venir meno della suggestione che Berlusconi ha continuato a irradiare sulle riforme della giustizia anche dopo aver perso la premiership, lascerà spazio a un confronto più sereno.

Il Cavaliere ha inventato, o almeno portato alla luce, qualcosa di cui si potrà discutere con equilibrio solo adesso, dopo la sua scomparsa. È un destino probabilmente ingrato, per un figura che queste ore ci consegnano con sempre maggiore chiarezza alla storia del nostro paese.
Del rischio che il garantismo fosse “macchiato” dal paradigma delle leggi “ad personam” parlò, tra gli altri, alcuni anni fa in un’intervista al Dubbio un uomo intelligente che ha attraversato la politica solo in modo tangenziale, Stefano Parisi. La sua apparve subito una lucidissima intuizione. Ora quella suggestione negativa, quel tabù, potrebbe svanire: Berlusconi se lo porta via. Un paradosso un po’ crudele, appunto. Lo sarò meno se, col tempo, a Berlusconi si riconoscerà di essere stato anche nella giustizia, non un banale opportunista, come la polemica più faziosa lo ha voluto descrivere, ma uno spirito innovatore.