I risvolti teologici, filosofici e, soprattutto, religiosi del magistero di papa Ratzinger saranno studiati a lungo. Si dovranno pur comprendere le implicazioni profonde di quell’opera feconda di confronto, aggiornamento, approfondimento dei fondamenti della fede cristiana che si era illusa - dopo le fatiche del Concilio Vaticano II - di essere uscita vittoriosa dalle sfide lanciate dall’ideologia comunista e che, invece, ha visto minacciato l’annuncio evangelico dalle provocazioni di un relativismo etico incalzante e dalla protervia un materialismo consumistico, aggressivo e segregazionista, penetrato fin dentro le mura di Pietro.

Un compito immane quello che attende gli studiosi e che, ovviamente, non ci appartiene. Tuttavia, come trascurare il cambio di passo del mite teologo Ratzinger che, da pontefice, con la contestata lectio pronunciata il 12 settembre 2006 nell’Università di Regensburg (a cinque anni dalle Torri gemelle) lanciava il suo allarme sui pericoli dell’estremismo islamico. Sui germi di un’intolleranza religiosa diffusa che ha poi insanguinato le capitali d’Europa, la Siria, l’Iraq, che ha posto le propaggini del Califfato dell’Isis, ha fatto da prologo a centinaia di migliaia di morti e a milioni di profughi.

Passato alla storia come il “discorso di Ratisbona” era il chiaro monito la cui veggenza si stenta tutt’oggi a voler riconoscere - che il papato lanciava alla cristianità di non lasciarsi irretire dalla mistica del dialogo tra le religioni, dalla retorica del relativismo religioso, dal finto ecumenismo che tutto equipara, livella, omologa. «Io sono la via, la verità e la vita» è la pietra su cui è stata edificata la Chiesa di Cristo e a cui capo sedeva, dopo duemila anni, papa Ratzinger e questo intangibile annuncio si voleva lanciare ai distratti e agli stolti perché ricordassero che la fede non sopporta mediazioni, arretramenti, compromessi di sorta.

L’alternativa a questo preciso magistero non è la “guerra di religione” - che tanto pare angustiare i centri del potere capitalistico, indifferente e materialista, e i loro coreuti culturali che inneggiano al dialogo - ma l’annacquamento dell’identità religiosa in un generico buonismo, in un’innocua filantropia, in un francescanesimo ambientalista privo della densità della fede. A tutto questo papa Ratzinger si è opposto fino all’ultimo respiro, sino alla rivendicazione piena, consapevole, irretrattabile del primato della fede sulla scienza, della forza che agita la vita spirituale rispetto al meccanicismo tecnologico che vuole ridurre l’uomo a un plesso di reazioni chimiche e la sua spiritualità a prevedibili connessioni neuroniche.

Le due cose, probabilmente, sono più intimamente connesse di quanto si pensi, perché in tanto l’uomo può essere indotto ad abdicare alla propria Imitatio Christi, a rinunciare al progetto salvifico concepito per lui, in quanto non creda alla primazia della fede e affidi il suo destino per intero al materialismo della scienza, ai miraggi delle sue promesse tecnocratiche. Nel Testamento spirituale colpisce, tra molti, un passaggio in cui traspare l'urgenza di un’esortazione e, con essa, l’impellente intenzione di consegnare una testimonianza diretta, privilegiata della sua lunga esperienza di teologo, di difensore della fede chiamata a sfide epocali: «rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere! Spesso sembra che la scienza - le scienze naturali da un lato e la ricerca storica (in particolare l’esegesi della Sacra Scrittura) dall’altrp - siano in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica. Ho vissuto le trasformazioni delle scienze naturali sin da tempi lontani e ho potuto constatare come, al contrario, siano svanite apparenti certezze contro la fede, dimostrandosi essere non scienza, ma interpretazioni filosofiche solo apparentemente spettanti alla scienza».

E poi «ho visto crollare tesi che sembravano incrollabili, dimostrandosi essere semplici ipotesi: la generazione liberale (Harnack, Jülicher ecc.), la generazione esistenzialista (Bultmann ecc.), la generazione marxista. Ho visto e vedo come dal groviglio delle ipotesi sia emersa ed emerga nuovamente la ragionevolezza della fede. Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita - e la Chiesa, con tutte le sue insufficienze, è veramente il Suo corpo». Si è celebrato il Natale, ma è al venerdì santo della Passione che il papa emerito ha rivolto il suo ultimo sguardo; a quel processo a Gesù che degna Pilato della più profonda e intima lezione: «Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesù: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. Pilato gli disse: “Che cos’è la verità?”» (Gv, 18, 33- 37). È sul crinale scivoloso, periglioso, a tratti oscuro della ricerca della verità che si muove il percorso di fede tracciato da Ratzinger che aveva forse le movenze di un pastore impacciato e timido, gentile e schivo, ma che di sicuro aveva ben chiaro che la tolleranza degli indifferenti non è valore che appartiene a un Dio geloso (Esodo 34, 14: «Tu non devi prostrarti ad altro Dio, perché il Signore si chiama Geloso: egli è un Dio geloso»).