Riceviamo da Gianni Alemanno e pubblichiamo nel rispetto delle norme dell’Ordinamento Rebibbia, 2 novembre 2025 306° giorno di carcere

Luciano fino a qualche giorno fa era il mio “capocella”: nella cella 2- B- 13 (ovvero secondo piano, reparto B, cella 13, la stessa dove quarant’anni fa stavo con Paolo Di Nella) era il più anziano di permanenza. Da sei giorni Luciano è stato trasferito in una cella singola, i cosiddetti “cubicoli”.

Luciano è uomo d’altri tempi, trapiantato nella nostra contemporaneità. Scolpito nella roccia nonostante abbia superato i 60, faccia buona che in un attimo può diventare feroce, nella vita fa il muratore e il capomastro e qui a Rebibbia è uno dei migliori lavoranti impiegati nell’edilizia. Ogni giorno racconta con soddisfazione tutto il lavoro che ha fatto, spesso da solo e in condizioni proibitive, ma sempre a perfetta regola d’arte: l’abito mentale dell’artigiano, soddisfatto della sua maestria, del lavoro ben fatto, più che del ritorno economico ottenuto (qui in carcere veramente miserevole: mediamente 700 euro al mese).

In galera da più di 9 anni non ha mai avuto un beneficio, se non andare qualche giorno in permesso per la prima volta un mese fa. Poi, proprio in quanto lavorante d’eccellenza, aveva ottenuto, dopo tre anni d’attesa, la sospirata cella singola, che – quando non serve a isolare persone problematiche – è uno “status symbol” molto ambito: permette di guadagnare indipendenza e privacy, di leggere e scrivere giorno e notte senza disturbare nessuno, di sistemare e abbellire a piacimento il proprio ambiente.

Così, quando si è trasferito 6 giorni fa, Luciano era dispiaciuto di lasciarci, ma felice e orgoglioso per il riconoscimento ottenuto. Passano 6 giorni e Luciano viene convocato insieme ai lavoranti che stanno in celle singole, per essere informati dall’Amministrazione che la cella singola può essere revocata a tutti da un momento all’altro. Uno scherzo di pessimo gusto? No, l’ennesimo effetto del sovraffollamento acuito dal crollo di Regina Coeli. A lui, come a tutti i lavoranti che rischiano di essere trasferiti in celle a 6 posti, viene detto: “Ormai siamo costretti a trasferire le funzioni di Regina Coeli al braccio G8 di Rebibbia”. Ovvero quello che era il “fiore all’occhiello” del carcere, il reparto di media sicurezza ricco di attività lavorative e sociali, costruito in anni d’impegno appassionato dalla ex cooperatora Cinzia Silvano, sarà trasformato nel “reparto di transito” dove verranno portati tutti i 30- 40 arrestati che ogni giorno vengono presi a Roma.

Stesso destino per il padiglione “Venere” che nel G8 era il reparto riservato ai lavoranti ex art. 21 o. p., ovvero quelli che vengono mandati a lavorare all’esterno del carcere, come ulteriore passo verso la riconquista della libertà. Padiglione abolito, tutti questi lavoranti sono già stati trasferiti nella “terza casa”, un tipo di carcere appositamente dedicato. Sembrerebbe una buona cosa, in realtà è pessima perché questo rappresenterà in futuro un’altra barriera all’accesso delle persone detenute al lavoro esterno.

Oggi servono posti a Rebibbia che supera già il 150% di sovraffollamento e il sistema diventa doppiamente punitivo: strappa quella sorta di “patto trattamentale” che ha permesso ai lavoranti di ottenere la cella singola o il lavoro esterno, seguendo le regole imposte di non avere rapporti disciplinari nei 6 mesi precedenti e di stare in cima a una graduatoria basata su un punteggio, sulla buona condotta e sull’anzianità nel carcere.

Sono stati colpiti anche gli ergastolani, visto che anche a loro hanno chiesto di lasciare le celle singole, forse dimenticando che l’art. 22 c. p. impone che l’ergastolo vada scontato lavorando e dormendo da soli. Diversi lavoranti minacciati di questo destino hanno chiesto di essere sospesi dal lavoro per non perdere la cella singola, ma la risposta è stata che così facendo non solo perdono lo stesso la cella singola ma ottengono anche un bel rapporto disciplinare.

Una domanda che non trova risposta è la seguente: perché servono tutte queste celle singole? Forse perché devono essere allocate persone problematiche di vario genere, affette da patologie psichiatriche o infettive? Se è così, significa che ogni reparto sarà esposto alle intemperanze violente dei “mattaccini” (nel gergo carcerario, chi è ingestibile per problemi psichiatrici) e al rischio contagio di malattie infettive. In ogni caso quello che viene totalmente devastato è il “trattamento penitenziario” che dovrebbe essere il cuore pulsante della giurisdizione di sorveglianza. Se viene ignorato, svuotato, contraddetto, allora non è solo la persona detenuta a essere tradita, ma l’intero sistema penale e con esso la promessa costituzionale di una giustizia che deve tendere alla rieducazione del condannato.

Nel Vangelo della Messa di oggi, Padre Lucio ha letto il brano (Mt 25,31- 46) in cui Gesù, per indicare i giusti, dice fra l’altro: “ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Il ministro Nordio e il sottosegretario Delmastro, che nei mesi scorsi avevano promesso di gestire il sovraffollamento senza violare i diritti delle persone detenute, conoscono questo Passo del Vangelo? E perché non vengono a vedere cosa sta succedendo?

P. S. Vi ricordate il gay messo in una cella singola con il “mattaccino”, di cui vi abbiamo parlato nel precedente Diario di Cella? È stato spostato, ma solo per essere messo in un’altra cella singola con un altro gay brasiliano, entrambi chiusi per tutta la giornata, senza separé davanti al wc e con meno di 2 mq di spazio a disposizione. Le famose “associazioni LGBTQ+” non hanno nulla da dire? Sarebbe importante che intervenissero anche su questi casi di violazione della dignità personale.