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SCIOPERO FLASH MOB E VOLANTINAGGIO DEI MAGISTRATI IN DIFESA DELLA COSTITUZIONE
Ma sì, in fondo in fondo Gratteri ha ragione quando dice che il vero obiettivo di questa riforma della giustizia è quello di “normalizzare” - proprio così dice: normalizzare - la nostra magistratura e “rendere il pm un perfetto burocrate”. Basta arabeschi e sofismi, diciamola chiara: la riforma vuole mettere ordine istituzionale nel complicatissimo rapporto tra toghe e politica, tra potere esecutivo e giudiziario. Che male c’è?
E il fatto che le carriere vengano separate a distanza di quasi 40 anni dalla riforma del processo accusatorio, è il segno evidente di quanto sia forte la resistenza della magistratura a qualsiasi intervento “normalizzatore”. E del resto fu lo stesso Giuliano Vassalli ad ammettere che fu proprio la pressione e l’ingerenza delle toghe di allora che bloccò il compimento della sua riforma.
E già, Vassalli, come ha ricordato il consigliere del Cnf Vittorio Minervini, era infatti convinto che un processo accusatorio non sarebbe stato realmente tale fino a che le carriere tra requirente e giudicante non fossero separate. Eppure decise di fermarsi proprio all’ultimo miglio. E quando un giornalista inglese - abituato a ben altro assetto istituzionale - gli chiese il motivo di tale rinuncia, Vassalli fu di una chiarezza sconcertante: «In Italia - spiegò - non è possibile cambiare l’ordinamento giudiziario perché ormai, quello che la magistratura ha conquistato, non lo molla più, non lo abbandona più. La magistratura ha un potere enorme; ma non solo enorme in linea di fatto, lo ha sul potere legislativo».
«Mi scusi - chiese incredulo il giornalista - potrebbe spiegare meglio cosa significa potere della magistratura sopra il potere legislativo?». E Vassalli: «Di pressione, di pressione. È il più grande gruppo di pressione, è il più forte gruppo di pressione che abbiano conosciuto, almeno nelle questioni di giustizia. Fino ad ora, in quaranta anni, non c’è stata una legge in materia di giustizia che non sia stata ispirata e voluta dalla magistratura, la quale è diventata sempre più un corpo veramente un corporativo».
E dunque, alla luce di questa fotografia impietosa, è chiaro che la preoccupazione di Gratteri che vede nella riforma un tentativo di normalizzare la giustizia non può che apparire come un auspicio. Se normalizzare la magistratura significa ricollocare le toghe entro un alveo di correttezza istituzionale, allora è bene non nascondere questo intento ma rivendicarlo, spiegarlo.
Negli ultimi trent’anni le toghe – con la complicità e il beneplacito della politica – si sono infatti auto-investite del ruolo di sentinella della morale pubblica, cane da guardia del potere. Si sono raccontate che quello fosse il loro ruolo, la propria missione storica. E a forza di crederci si sono sclerotizzate. Da Falcone siamo rotolati verso il Sistema Palamara: non un passaggio, ma un ribaltamento integrale. La magistratura è diventata un potere fuori controllo, il Csm una centrale di lottizzazioni travestita da organo di rilievo costituzionale.
Dentro questo scenario, “normalizzare il pm” non è un attentato all’ordine democratico: è ristabilire un perimetro, ridisegnare la linea di confine tra chi governa e chi giudica. E infatti, e sempre per uscire da equivoci e non detti, non sono le carriere separate il cuore del conflitto – a proposito: era davvero indispensabile un flash mob con i cartonati di Berlusconi? Il nervo scoperto è il sorteggio del Csm. È lì che l’Anm – braccio politico delle toghe – vede minacciato il proprio potere e sente franare la terra sotto i piedi. Ed è per questo che ha deciso di giocarsi il tutto per tutto.
Ed è qui che il nostro Alberto Cisterna, in un articolo decisivo, coglie precisamente il punto sistemico: nelle altre grandi riforme costituzionali – quelle di Berlusconi e Renzi – «né una delle Camere, né le Regioni, né il vituperato Cnel pensarono di mettere in piedi un comitato referendario per il no», ha infatti scritto Cisterna. Nessuna istituzione si era messa direttamente dentro l’agone. Questa volta non è così: la magistratura associata è direttamente in campo. Non c’è più distinzione tra istituzione garante e soggetto politico. È corpo a corpo. È guerra di potere nudo.
E ora – dice Cisterna, e dice benissimo – dopo aver lanciato il sasso, pezzi della maggioranza che ha approvato il testo non possono far finta che il voto popolare sarà neutro sulle sorti politiche del Paese. Se il referendum dovesse andare male, non basterà scrollarsi la polvere delle macerie.
Ma le macerie, i calcinacci del “palazzo giudiziario” in frantumi, non potranno non cadere anche sulle spalle della magistratura. E neanche qui basterà un’alzata di spalle: il precedente di aver trascinato le toghe nel cuore di una battaglia politica contro il governo e di aver trasformato la magistratura in attore organizzato del conflitto, è una ferita che rimarrà impressa per molto tempo sulla toga dei magistrati. Soprattutto se i No dovessero vincere. E allora sì, finalmente, si capirà davvero chi ha normalizzato chi.


