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IMAGOECONOMICA
La discussione sul fine vita si sta svolgendo nei linguaggi esoterici della teologica, del diritto, della bioetica, ma soprattutto dell’ideologia politica. Vola così in alto da rendere invisibile la realtà sottostante, nella quale brancolano le persone comuni. È il modo migliore per gettare fumo negli occhi a coloro che sono suscettibili alle pratiche illusionistiche.
Il disegno di legge è surreale e gli stessi esperti, non confessionali, lo stanno già impallinando: parla di “indisponibilità di un diritto alla vita” (un ossimoro?), estromissione del SSN, di ghigliottine incostituzionali per accedere (inserimento in un percorso di cure palliative e essere in vita grazie a trattamenti sostitutivi di funzioni vitali); infine, una Commissione nazionale inquisitoria, nominata dal Grande Fratello. Inutile entrare nel merito, perché nessuno può prevedere la versione che sarà licenziata.
Mi domando se qualcuno che parla abbia assistito, da vicino e cercando di dare un supporto di qualche tipo, una persona che sta morendo. Sono certo di sì. Ma la vita concreta la si ignora quando si pensa di dovere parlare in punta di qualcosa. Non intendo fare del pietismo. Ma ricordare le domande che rivolgono i malati, non quelli astratti o inventati, alle persone loro vicine: medici, familiari e amici.
Qualcuno chiede consapevolmente di essere aiutato a farla finita, altri si disperano perché non vogliono lasciare questo mondo, altri ancora affrontano l’avvicinarsi della dipartita scherzando con sagace ironia, e ci sono coloro che muoiono senza sapere che a ucciderli sono stati i familiari e/ o il medico “per il loro bene”; mentre altri hanno fatto da soli o trovato aiuto per suicidarsi (di nascosto o pagandolo all’estero). Qualcuno, infine, soffre in modi terribili, senza chiedere niente, per stoicismo o per profondissima fede, ed è sospettoso perché teme che venga affrettata la sua dipartita, e non vuole.
Anche nelle scelte del modo in cui si vorrebbe morire c’è, dunque, un pluralismo individuale irriducibile. Non si muore tutti allo stesso modo. Mai, ma soprattutto oggi che il 60 e il 70% (pare 90% in alcuni paesi ad alto reddito) delle morti arrivano alla fine di lunghe malattie degenerative. Non si muore più rapidamente e senza quasi accorgersene, come era di norma un secolo fa, ma nel corso di settimane, mesi o anni per tumori, malattie cardiache e metaboliche, malattie neurologiche, etc. Tempi lunghi nei quali si pensa e ripensa alla propria fine e come si vorrebbe che fosse. Larga parte di questo tempo lo si trascorre nel dolore fisico ed emotivo, che diventa via via più intollerabile e cambia il modo di funzionare della coscienza.
Ognuno pensa ai valori, consapevoli o intuiti, che per lui (LUI, non quelli del filosofo o teologo di turno) contano, fino a quando non perde coscienza. Ognuno di noi ha delle preferenze su tutto. Nelle società più o meno aperte, se scegliere di farsi guidare da queste non fa male a nessuno e riguarda solo chi decide, si è liberi di seguirle (incluso ubriacarsi, essere vegani, non curarsi, etc). Il problema è che in questo caso, per esercitare la scelta di salute che si preferirebbe, occorre essere aiutati ricevendo una prestazione sanitaria rispetto a cui diverse credenze hanno posizioni diverse.
Ci sarebbe l’indisponibilità della vita umana, che va difesa sul bagnasciuga metafisico/ religioso dal concepimento naturale alla morte naturale (anche se di “naturale” non è rimasto nulla) versus la mia vita la gestisco io versus la vita che ha un valore collettivo e lo stato non può lasciare le persone libere di scegliere. Se ognuno potesse decidere come preferisce, da credente, da ateo e liberale in qualche modo o da collettivista, all’interno di una cornice legale che mira essenzialmente a perseguire qualunque danno alle persone, ci troveranno ad avere ottenuto quasi la quadratura di un cerchio.
I collettivisti e i religiosi pensano, però, che l’autonomia sia un autoinganno e che le persone non vogliono davvero quello che chiedono, ma per esempio le cure palliative, che sarebbero la soluzione e andrebbero somministrate a tutti. È empiricamente falso. Ma non c’è peggior cieco di chi non vuol leggere i fatti.
È difficile, penso impossibile, trovare una sintesi se per qualcuno l’indisponibilità della vita è un principio non negoziabile o quando i politici coltivano l’idea di uno stato etico, per cui le persone sono libere solo quando aderiscono ai valori collettivi. Che cosa ci si può aspettare?
La privatizzazione? Come un coniglio tolto dal cappello dal prestigiatore manipolatore. Singolare in un paese collettivista e paternalista fino al midollo, ma che anestetizza le idiosincrasie religiose e quelle collettiviste. Anche se apre a scenari che dovrebbero essere inaccettabili per un’etica cristiana ispirata dal Vangelo.
Il fine vita è una condizione che fa parte integrante della vita e arriva alla fine di un’esistenza “magari” dedicata al lavoro. Lo si vuole espellere dalla medicina e dalla sanità. Ci vuole un lungo pelo sullo stomaco per dire, a una persona che ha dedicato la sua esistenza al bene comune, che si trova in condizione terminale e chiede aiuto senza poter suicidarsi per qualunque motivo o pagare la prestazione: il Grande Fratello ti autorizza benevolmente a farti aiutare, ma per il resto arrangiati.