Come difendere le liberal-democrazie senza mettere a rischio i principi stessi della democrazia liberale? Il cortocircuito è servito, e l’odore di bruciato, in queste ore, arriva dalla Romania e dalla Germania.

La storia è nota: l’Ufficio per la tutela della Costituzione tedesco ha deliberato che AfD è un partito estremista. È vero: AfD flirta con idee che odorano di razzismo, di esclusione identitaria. Insomma, quel malsano fermento che in Europa conosciamo fin troppo bene. Ma si può davvero combattere il veleno “democraticamente eletto” con l’antidoto dell’interdizione preventiva? Non si rischia al contrario di creare martiri reazionari proprio con gli strumenti pensati per difendere la libertà?

Anche perché dalla Romania arriva lo stesso identico odore di bruciato: il filoputiniano Georgescu viene messo fuori gioco per via giudiziaria, ma vince il suo discepolo George Simion, un irredentista (sic) che sogna l’annessione della Moldova. E inutile dire che i suoi modelli sono Trump e Putin, due campioni delle “democrature”, ovvero di quell’inarrestabile scivolamento delle democrazie verso sistemi autoritari.

E infine c’è lui, Viktor Orbán, l’Oracolo di Budapest, il campione della democrazia illiberale che si presenta nei summit europei con l’aria di chi partecipa a un gioco che disprezza. Orban è senza dubbio il referente morale dell’internazionale sovranista, l’uomo che sogna una Ue disgregata e le mani di Mosca di nuovo su mezza Europa.

Insomma, la verità è che la pianta sovranista cresce rigogliosa anche quando si sradica il seme, segno che forse il problema è nel terreno, cioè nell’elettorato, nel malessere profondo che l’establishment liberale finge di non vedere.