«Il cordoglio deve tradursi in scelte concrete, operative». E «da parte di tutti, dell’Italia come dell’Europa». Sono limpide e nettissime le parole che Sergio Mattarella ha pronunciato ieri, dopo che il 9 marzo recandosi sul luogo della tragedia in cui sono morti in mare 71 migranti, a Cutro, aveva detto un’altra frase, nettissima anche questa: «I migranti lasciano la loro terra per cercare un futuro altrove».

Il presidente della Repubblica non ha solo ristabilito i corretti termini della questione, anche rispetto alle scivolate del responsabile del Viminale Matteo Piantedosi finito nella bufera perché - proprio davanti salme di Cutro, tra le quali quelle di bambini e infanti- aveva parlato di «irresponsabilità di quei genitori che mettono in pericolo la vita dei loro figli».

Il significato delle parole di Mattarella, al di là del ristabilire le corrette valutazioni valoriali, contiene anche una precisa indicazione politica. Perché, a cominciare da Giorgia Meloni, tutti gli esponenti del governo e della sua maggioranza ripetono quasi quotidianamente e a telecamere unificate il proprio dolore e cordoglio per la tragedia di Cutro. Meloni ha anche prontamente scritto a Bruxelles una lettera in cui, giustamente, pone il problema e chiede concreta solidarietà europea davanti a un fenomeno come quello delle migrazioni che non è e non può essere affrontato dall’Italia da sola.

Ma quale concreta solidarietà si può ottenere dall’Europa perché stragi in mare come quelle di Cutro non si ripetano, se poi si affronta il problema delle migrazioni solo come difesa di confini, alla stregua di operazioni di polizia? O se si vara un decreto, come quello recentissimo in cui alle Ong che abbiano salvato migranti in mare portandoli nel porto sicuro assegnato dalla Guardia Costiera, si impedisce di lasciare quel porto e di tornare in mare a salvare altri migranti? Quale coerenza si può trovare tra le molteplici espressioni di cordoglio e gli atti del governo? Un’indagine della magistratura accerterà la sequenza che ha portato alla strage di Cutro, ma intanto un dato è sotto gli occhi di tutti, lampante: il soccorso in mare ai migranti è passato dall’essere un atto umanitario reso obbligatorio da un intero corpus giuridico, che nasce da tradizioni secolari e anzi millenarie, all’essere pura e semplice operazione di difesa di confini.

Una rivoluzione culturale che arriva oggi al suo compimento, ma che ha le sue radici nel 2014, quando il governo Renzi cancellò la missione italiana di soccorso e salvataggio Mare Nostrum, lasciando il campo alla sola Frontex, missione europea di controllo delle frontiere marine. Ed è stata la stessa Meloni a dire, nel punto stampa al termine del suo viaggio ufficiale negli Emirati Arabi, sottolineando che «Frontex non aveva segnalato che quell’imbarcazione fosse in pericolo, che “quel tratto di mare non è coperto dalle Ong». Una voce dal sen fuggita. Come dire che, forse, le Ong a qualcosa servono: a evitare stragi in mare.

Naturalmente la coerenza può non essere vista, e neppure richiesta, dal cittadino comune, da un’opinione pubblica disorientata e forse anche sofferente di fronte a un’immane tragedia che rischia di ripetersi, com’è già ciclicamente successo nel corso degli ultimi 10 anni.

Ma non sfugge e non sfuggirà a Bruxelles e alle varie Cancellerie, quando si tratterà - a breve - di andare a trattare la “concreta solidarietà” che pure la presidente del Consiglio ha chiesto e chiede alla UE. Dove, bisogna ricordare, al momento i migliori alleati dell’Italia sono quei Paesi come Ungheria e Polonia che di impegnare la UE a difesa delle frontiere marine - e figurarsi di soccorso in mare - non vogliono neanche sentir parlare, intenti come sono a difendere le loro frontiere terrestri.

Il tema - complesso da affrontare con l’armamentario valoriale del nazionalismo - è una tale ferita aperta che però il governo si è reso conto di essere in un’altra contraddizione: è insostenibile esprimere cordoglio davanti a 71 migranti morti, e non aprire le porte a chiare procedure di immigrazione regolare, a meno di non voler essere accusati di vedere i migranti come nemici.

I flussi previsti dalla legge Bossi-Fini, che è del 2002, sono bloccati a 80mila regolarizzazioni. Troppo poche, e da anni, per le necessità delle aziende e del settore dei servizi, e adesso sono infatti le associazioni imprenditoriali che premono perché si arrivi a ben altre soglie. Perché quella legge ha bloccato di fatto per vent’anni anche la crescita dell’Italia: un Paese vale infatti quanto vale la propria forza lavoro. Ed è il motivo pragmatico, oltre a quello della obbligatoria solidarietà verso chi fugge da un Paese in guerra, per il quale Angela Merkel nel 2015 accolse da un giorno all’altro oltre un milione di profughi siriani.