Con un articolo a firma del direttore Francesco Lo Piccolo, la scorsa settimana Voci di dentro si è occupata della vicenda di Wail Boulaied. Nato in Marocco, ma in Italia da quando aveva 7 anni, il giovane ha avuto un’infanzia devastante: un padre che lo picchiava e un passato fatto di droga, furti, e incendi. Un’escalation fino a quattro anni fa quando, dopo una notte a base di alcol e psicofarmaci, Wail in compagnia di un amico uccide una donna. In primo grado il ventiquattrenne è stato condannato all’ergastolo, successivamente la corte d’Appello ha concesso le attenuanti generiche riducendo la pena a 27 anni. Un crimine odioso, di quelli che rendono difficile la vita anche in carcere, tant’è che spesso gli autori di simili reati vengono collocati nelle sezioni protette. Così non è stato per Wail. Al carcere di Padova dove, grazie al personale medico e ai volontari, la sua esistenza aveva cominciato a prendere la giusta strada, addirittura lavorava come portavitto. Insomma, un inizio di cambiamento.

Un percorso improvvisamente interrotto: «Ufficialmente per mancanza di spazio a causa di alcuni lavori di ristrutturazione, Boulaied viene trasferito a Vigevano» dice il suo avvocato Igor Zornetta. E continua: «I parenti di Wail, che vivono in Veneto, mi raccontano che sta male. Da quando lo hanno trasferito dal carcere di Padova a quello di Vigevano, a oltre 300 chilometri da casa, non ha più alcun aiuto. Ora è solo, in una cella sporca, e mangia poco. Loro, il fratello e gli zii, hanno difficoltà a spostarsi; per motivi di lavoro non possono andare a trovarlo e al telefono lo sentono strano, peggiorato, e temono un gesto inconsulto». La casa circondariale di Vigevano, inoltre, non versa in condizioni diverse da molti altri istituti, anzi, per cui è incomprensibile la decisione di destinare Boulaied in un carcere con un sovraffollamento del 160% e che soffre per la cronica carenza di personale medico e di polizia penitenziaria.

Il giorno successivo alla pubblicazione dell’articolo che titolava “Dap, prevenzione solo a parole”, Boulaied è stato improvvisamente posto in isolamento apparentemente senza alcun motivo rendendo così la situazione ancora più difficile, ma sicuramente si tratta di una coincidenza. «Lungi da noi pensare che si tratti di una ritorsione dovuta alle pressanti richieste rivolte al Dap affinché il mio cliente venga trasferito in un istituto vicino alla famiglia-, dice l’avvocato Zornetta. Ma il principio di territorialità della pena deve essere garantito. Non a caso l’art. 14 dell’Ordinamento penitenziario stabilisce che i detenuti e gli internati hanno diritto di essere assegnati a un istituto quanto più vicino possibile alla stabile dimora della famiglia o, se individuabile, al proprio centro di riferimento sociale, salvi specifici motivi contrari, anche perché i familiari non sono in alcun modo responsabili di eventuali reati commessi dai congiunti, e anche loro vantano il diritto alle relazioni affettive». Ad oggi le istanze del legale sono rimaste lettera morta.

Il decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 124 mettendo sempre il detenuto- persona al centro dell’esecuzione, titolare di tutti i diritti che non siano strettamente incompatibili con la restrizione della libertà personale, prevede tra l’altro il rafforzamento dei divieti di discriminazione, la promozione di attività che responsabilizzino il detenuto in vista del suo futuro reinserimento, nuove norme su alimentazione, permanenza all’aperto, attività di lavoro, istruzione e ricreazione, oltre alla riaffermazione del principio di territorialità della pena ( destinazione ad istituti vicini alla famiglia). L’amministrazione penitenziaria ha il mandato istituzionale di promuovere interventi “che devono tendere al reinserimento sociale” ( art. 1 della legge 354/ 1975 sull'ordinamento penitenziario) dei detenuti e degli internati e ad avviare “un processo di modificazione delle condizioni e degli atteggiamenti personali, nonché delle relazioni familiari e sociali che sono di ostacolo ad una costruttiva partecipazione sociale” ( art. 1, comma 2, regolamento di esecuzione, d. p. r. 230/ 2000). Si tratta di principi democratici e di umanità che dovrebbe valere per tutti, anche per coloro che si sono resi colpevoli di crimini efferati che istintivamente ci fanno gridare vendetta. Soprattutto quando si tratta di giovani detenuti occorre favorire i contatti con l’ambiente esterno; invece, lo Stato non rispetta le sue leggi e si accanisce sui più deboli. Forse non bastano le trenta persone che dall’inizio dell’anno si sono impiccate alle sbarre delle celle? La maggior parte di loro era giovane, molti avevano problemi psichiatrici e di dipendenza. Proprio come Wail, figlio di un dio minore che, oltre ad aver commesso un reato orrendo, probabilmente sconta l’imperdonabile aggravante delle origini marocchine.