È stata interrogata, per circa tre ore, nel palazzo di giustizia di Firenze, Rosa Belotti, 58 anni, residente ad Albano Sant’Alessandro (Bergamo), indagata dalla Direzione distrettuale antimafia fiorentina perché ritenuta «coinvolta nell’esecuzione materiale, con funzioni di autista» della Fiat Uno, imbottita di esplosivo, utilizzata per l’attentato mafioso del 27 luglio 1993 in via Palestro a Milano. L’autobomba danneggiò il Padiglione di Arte Contemporanea e provocò cinque morti. La donna è stata perquisita il 2 marzo scorso dai militari della sezione Anticrimine dei Carabinieri del Ros di Firenze, su delega dei due procuratori aggiunti Luca Tescaroli e Luca Turco, sotto il coordinamento del procuratore capo Giuseppe Creazzo, che indagano sulle stragi mafiose del 1993. Secondo quanto riferito dal suo difensore, avvocato Emilio Tanfulla di Bergamo, Belotti avrebbe risposto alle domande dei magistrati, ribadendo la sua estraneità ai fatti che le sono stati contestati. E' lei la donna ritratta nell'immagine, la bionda sui 3o anni che assomiglierebbe all'attentatrice dell'identikit, avrebbe ammesso Belotti. Ma con la strage, ribadisce, non c'entra. Ricapitoliamo. Ai primi di marzo i i carabinieri del Ros avevano perquisito l’abitazione della signora Bellotti ad Albano Sant’Alessandro, in provincia di Bergamo. La signora, come si legge nel decreto di perquisizione firmato dai procuratori aggiunti di Firenze Luca Tescaroli e Luca Turco e dall’ancora per poco procuratore Giuseppe Creazzo, e riportato quasi per intero dai quotidiani, risulta essere indagata per “associazione di stampo mafioso finalizzata alla strage, con l’aggravante di aver agito per finalità di terrorismo ed eversione”. In pratica, con esponenti di Cosa Nostra Bellotti venne coinvolta nell’esecuzione materiale dell’attentato con funzioni di autista della Fiat Uno imbottita di tritolo lasciata davanti alla galleria. Ma come si è arrivati, dopo trenta anni, alla signora di Bergamo? Ecco che arriviamo alla fotografia. Durante una perquisizione nel 1993 a casa di un carabiniere di Alcamo, accusato di detenzioni di armi da guerra destinate a Gladio, venne rinvenuta in un libro una foto di una ragazza. La foto era stata poi confrontata con un software C-Robot ed era risultata “compatibile” con l’immagine fotosegnalatica della Belloti, arrestata l’anno prima a Bergamo per spaccio di stupefacenti. A legare alla strage il nome della signora lombarda, un identikit fatto da due testimoni oculari all’indomani della strage che segnalarono “una giovane bionda” allontanarsi dalla Fiat Uno poi esplosa. «La mia assista è caduta dalle nuvole», ha commentato il difensore di Belotti.