L’ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo il 4 marzo 2020, a margine di una riunione a Palazzo dei Marescialli, parlò con il vicepresidente del Csm, David Ermini, della Loggia Ungheria e del caso Amara. Lo ha detto lo stesso Ermini, testimoniando nell’aula del processo a carico di Davigo a Brescia. L’ex pm di Mani Pulite è accusato di rivelazione di segreto d’ufficio. «Davigo disse sarebbe opportuno che andassi dal Presidente della Repubblica» perché «della presunta loggia facevano parte esponenti delle forze armate e delle forze di polizia, specialmente polizia e carabinieri. E poi anche magistrati, ex magistrati, un ex vicepresidente del Csm». «Io risposi di sì - ha aggiunto Ermini - . Io avevo già in animo di andare dal Presidente e quando andai da lui avevo da dirgli tane altre cose e gli riferii anche quello che mi aveva detto Davigo». Per il vicepresidente del Csm «Mattarella non fece alcun commento». Il colloquio al Quirinale tra Ermini e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella «è avvenuto la sera stessa» del 4 marzo 2020, poche ore dopo il colloquio tra Ermini e Davigo a Palazzo dei Marescialli ha spiegato in aula il vicepresidente del Csm. Davigo gli aveva riferito delle «dichiarazioni di un testimone, tale Amara che aveva parlato davanti ad un pm milanese di una logga massonica o simile, che questa indagine andava a rilento e che di questa loggia facevano parte una serie di personalità» tra cui diversi esponenti delle «forze armate e delle forze di polizia, alcuni in pensione, altri ancora in carica». Tra i componenti della presunta Loggia, l’avvocato siciliano Piero Amara, interrogato a Milano dal procuratore aggiunto Laura Pedio e dal pm Paolo Storari nell’ambito dell'inchiesta sul falso complotto Eni, aveva indicato anche i due membri del Csm Sebastiano Ardita e Marco Mancinetti. Informazione che Davigo aveva trasmesso subito ad Ermini. Il 5 marzo 2020 l’ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo ha consegnato al vicepresidente del Csm David Ermini i verbali secretati degli interrogatori resi dall’avvocato siciliano Piero Amara in Procura a Milano, nei quali parlava della Loggia Ungheria. «Ero un po' perplesso che mi stesse mostrando delle carte non utilizzabili e senza intestazione. Non fu una cosa ufficiale», ha chiarito in aula Ermini. «Ritenni quella di Davigo una confidenza - ha aggiunto - . Lui mi lasciò quei verbali li cestinai, perché in Consiglio noi non possiamo avere atti che non siano formali». «La cosa doveva rimanere segreta, perché se qualche consigliere fosse rimasto coinvolto non era opportuno», ha precisato il vicepresidente del Csm. «In cuor mio pensavo che quelle carte» relative agli interrogatori in cui l’avvocato Piero Amara parlava della loggia Ungheria «dovessero arrivare al comitato di presidenza in modo rituale e per le vie ufficiali», ha aggiunto il vice presidente del Csm, David Ermini, in un passaggio della sua testimonianza davanti al Tribunale di Brescia. «Davigo mi portò i verbali per dimostrami che quello che mi aveva detto qualche giorno prima era vero, ma non mi disse cosa farne», ha precisato Ermini, spiegando che Davigo «non chiese di veicolare le carte al comitato di presidenza del Csm». «Erano atti informali relativi agli interrogatori secretati del teste Amara, senza firma, senza nulla e io che faccio? Li porto al comitato di presidenza del Csm e di fatto li rendo pubblici?», ha aggiunto Ermini. «Davigo mi disse che sotto l’aspetto giurisdizionale se ne sarebbe occupato il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione Giovanni Salvi - ha chiarito - mentre dal punto di vista amministrativo ce ne saremmo dovuti occupare noi» al Csm «ma in quelle condizioni non potevamo fare niente». «Nelle condizioni in cui abbiamo vissuto in questi anni, una velina non firmata con dichiarazioni dubbie non la posso accettare». «Nel momento in cui Davigo mi dice che se sarebbe occupato il procuratore Salvi - ha concluso - per me la cosa era finita» perché in quella situazione «lui lo sapeva benissimo, come lo sapevo io, che noi non potevamo fare niente».