“Fermare i suicidi in carcere: non c’è più tempo”. È questo il titolo dell’incontro-dibattito organizzato dalla Camera penale di Varese “Giuseppe Lozito-Lucio Paliaga”, in programma giovedì 20 giugno, con inizio alle 14.30, presso la “Sala Risorgimento” di Villa Mirabello.

Il numero dei suicidi in carcere aumenta giorno dopo e, come evidenziano i penalisti, servono interventi urgenti e una progettualità che prenda in considerazione l’esigenza di rendere la vita negli istituti penitenziari più umana e risocializzante. Il momento è drammatico, evidenzia il presidente della Camera penale di Varese, Fabio Margarini. «La nostra Camera Penale – dice al Dubbio - ha organizzato un evento sul tema sempre più drammatico e attuale dei suicidi in carcere e delle condizioni in cui vivono i detenuti. L’iniziativa rientra nel calendario delle manifestazioni indette dall’Unione delle Camere penali italiane in un programma nazionale di “maratona oratoria”. Riteniamo necessario non abbassare mai la guardia. È necessario discutere e riflettere sulle possibili risposte concrete, immediate e a più lungo termine per deprivare la condizione carceraria di quella deumanizzazione della prigione che sembra essere la prima causa dell’inaccettabile dramma suicidario».
L’evento  ha anche l’obiettivo di sensibilizzare e smuovere le istituzioni. «Diceva Montesquieu – commenta l’avvocato Margarini - che ogni pena inflitta da un uomo ad un altro uomo, che non derivi dall’assoluta necessità, è un atto di tirannia. E se storicamente le punizioni andavano a ledere il corpo del suppliziato in forza di una funzione retributiva ed esemplificativa della pena pubblicamente esposta, non vi è dubbio che dopo Beccaria e l’Illuminismo il punto focale di ogni più evoluta ricerca diventi la mente, la psiche o per dirla con Michel Foucault l’anima del detenuto che si intende rieducare alla vita civile e sociale. Quando si parla di condizioni carcerarie degradanti, di sovraffollamento disumano, è di quella sofferenza in carcere di cui dobbiamo parlare e di cui oggi la politica non può avere infingimenti e restare indifferente ai dati ferocemente drammatici dei sucidi».
I dati presentano un quadro preoccupante. Nel 2022 i suicidi sono stati 85, nel 2023 sono stati 75. Quest’anno e siamo già a quota 44. «Non va neppure taciuto – aggiunge il presidente della Camera penale di Varese - il numero altrettanto inquietante dei tentativi di suicidi sventati dall’intervento del personale di polizia penitenziaria o da altri detenuti ed altresì di quello dei suicidi post-detenzione oggetto di un’interrogazione parlamentare più ampia sul reinserimento dei detenuti. Se la carcerazione ha la funzione assegnatale dalla Carta fondamentale, il percorso di ogni detenuto dev’essere, secondo una definizione che ho molto apprezzato del viceministro alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto, “umanocentrico” e non “carcerocentrico”».
L’iniziativa sarà aperta da Fabio Margarini (Camera penale di Varese), Elisabetta Bertani (tesoriere Camera Penale di Varese) e Gianluca Franchi (vicepresidente e segretario Comitato Pari Opportunità di Varese). Sono, inoltre, previsti, gli interventi di Valentina Alberta (presidente Camera Penale di Milano) Vincenzo Andraous (giornalista e saggista), Rita Bernardini (presidente dell’associazione “Nessuno Tocchi Caino”), Elisabetta Brusa (componente dell'Organismo congressuale forense, Commissione detenzione-carcere) Maria Chiara Gadda (deputata), Franco Grillo (medico psichiatra), Serena Pirrello (consulente giuridico pedagogico presso il carcere di Varese), don David Riboldi (cappellano del carcere di Busto Arsizio e Fondatore della Cooperativa Sociale “La Valle di Ezechiele”), Giulia Vassalli (magistrato di Sorveglianza del Tribunale di Varese) e Andrea Pellicini (deputato e componente della Commissione Giustizia alla Camera).

Spesso, le detenute - anche madri - vengono relegate ai margini, non fanno clamore. Secondo l’avvocata Elisabetta Brusa, bisogna moltiplicare gli sforzi affinché questa parte della popolazione carceraria riceva le dovute attenzioni. «Parliamo delle donne – commenta -, non solo madri, detenute perché, costituendo una minoranza nell’ambito penitenziario, i loro bisogni sono spesso disattesi o comunque poco conosciuti». È necessario, dunque, fare uno sforzo per superare alcune impostazioni del passato. «Le carceri – aggiunge l’avvocata Brusa - sono progettate e costruite "da uomini per uomini", sottovalutando quindi le necessità emotive, familiari, sociali e sanitarie femminili. Le leggi sono uguali per uomini e donne e gli istituti detentivi, attraverso circolari e regolamenti interni tra loro differenti sul territorio nazionale, disciplinano l’accesso alle strutture comuni per le attività sportive, lavorative e formative e le spese del "sopravvitto" per l'acquisto di beni legati alla propria cura e igiene. Gli avvocati sono la voce per portare all’esterno le loro necessità. L'impegno dell’avvocatura e dell'Organismo congressuale forense è quello di continuare ad interloquire con la politica per trovare soluzioni e dare dignità alle quasi tremila detenute ospitate nelle carceri italiane».