È andato ieri in scena al Consiglio superiore della magistratura il confronto fra il maggiore dei carabinieri Gianpaolo Scafarto ed il presidente della municipalizzata fiorentina Publiacqua, Filippo Vannoni. L’occasione è stata l’udienza disciplinare a carico dei pm napoletani Henry John Woodcock e Celestina Carrano, titolari di uno dei filoni dell’inchiesta “Consip”. Ai due magistrati viene contestato l’interrogatorio del manager fiorentino ed ex consigliere economico di Palazzo Chigi.

Indicato dall’ex ad di Consip Luigi Marroni come uno dei soggetti che lo informarono dell’indagine in corso da parte del Noe, Vannoni chiamò in causa l’allora sottosegretario Luca Lotti e i vertici dell’Arma, i generali Tullio Del Sette ed Emanuele Saltalamacchia. Sul punto venne ascoltato alla vigilia di Natale del 2016 dai pm napoletani come persona informata dei fatti, cioè come testimone, senza quindi l’assistenza di un difensore. Secondo la Procura generale della Cassazione che esercitato l’azione disciplinare davanti al Csm, c’erano però, già allora, gli elementi per iscriverlo nel registro degli indagati, cosa che poi fecero i pm romani quando il fascicolo venne trasmesso nella Capitale per competenza territoriale. Averlo sentito come testimone senza il legale di fiducia avrebbe dunque “leso le sue garanzie difensive”. Si trattò di un interrogatorio molto duro, ha ricordato ieri Vannoni: domande «pressanti», concentrate soprattutto sui «rapporti con Matteo Renzi» e una frase, «vuole fare una vacanza a Poggioreale», che gli sarebbe stata rivolta da Woodcock e di fronte alla quale rimase «colpito e intimidito». A verbalizzare l’interrogatorio fu il maggiore Scafarto, all’epoca capitano del Noe, ha proseguito Vannoni. Ed era proprio Scafarto l’interlocutore principale, con domande ma anche pressioni del tipo «risponda, risponda, risponda!». E ancora: «Confessi!», o «chi te l’ha detto?». «Feci il nome di Lotti per levarmi dall’impaccio, me ne volevo andare. A un certo punto chiesero di posare lo sguardo verso la porta: c’erano dei fili e dissero che erano delle microspie. Scafarto disse che avevano messo microspie ovunque e che sapevano tutto. Il verbale non l’ho riletto, l’ho firmato e me ne sono andato senza salutare», ha poi concluso Vannoni. Interrogato poi dai pm romani, Vannoni raccontò queste “pressioni” e smentì di aver saputo da Lotti dell’indagine Consip.

Tutt’altro scenario, invece, per Scafarto, apparso a sua volta ieri davanti alla sezione disciplinare del Csm. Secondo l’ufficiale, Vannoni «fece i nomi di Matteo Renzi e Luca Lotti spontaneamente. Era visibilmente non a suo agio, era particolarmente nervoso e iniziò a sudare. Venne invitato a ricordare chi gli avesse detto qualcosa su Consip, e l’esame venne condotto quasi esclusivamente da Woodcock», ha aggiunto Scafarto, escludendo di aver posto domande al teste. L’ufficiale ha anche smentito le accuse di pressioni esercitate da Woodcock su Vannoni, come quella di mostrare dalla finestra il carcere di Poggioreale e chiedere al manager «se vi volesse fare una vacanza». «Non ricordo», ha poi spiegato Scafarto, «se ci ponemmo il problema di sentirlo come persona informata sui fatti o come indagato. La sera del 20 dicembre», ha aggiunto, «Woodcock contattò il dottor Ielo ( titolare del fascicolo Consip trasmesso nella Capitale, ndr), non so cosa si siano detti». Il maggiore è attualmente indagato dalla Procura di Roma, con accuse che vanno dal falso alla rivelazione del segreto d’ufficio.

Al termine dell’udienza è intervenuto il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini che ha parlato di «testimonianze largamente divergenti» e annunciato che il prossimo 5 luglio saranno sentiti i pm di Roma Paolo Ielo e Mario Palazzi. Nel tardo pomeriggio, le senatrici Pd Caterina Bini, vicepresidente del gruppo dem, e Nadia Ginetti hanno diffuso una nota in cui sostengono che «le ricostruzioni dell’interrogatorio subìto da Filippo Vannoni ad opera del duo Woodcock– Scafarto mettono i brividi: l’inchiesta su Consip doveva in tutti i modi raggiungere l’allora premier Matteo Renzi», secondo le due parlamentari, «continueremo a fare le solite domande, perché vogliamo che si arrivi alla verità: perché, per conto di chi?» .