Forse non basta più neppure scomodare Javert, il rigidissimo poliziotto dei Miserabili, diventato proverbiale sinonimo di una giustizia inflessibile e cieca, sostanzialmente ingiusta oltre che inumana. Ma il caso di Renato Vallanzasca va persino oltre. Il bandito più celebre degli anni ' 70, ma certo non il più efferato, è in carcere dal 15 febbraio 1977. Aveva meno di 27 anni, oggi ne ha 72. La libertà condizionale gli è stata negata più volte, nonostante fosse stata consigliata dagli psicologi e analisti del Carcere di Bollate, dove è detenuto. Il 18 aprile 2018 il Tribunale di sorveglianza di Milano ha respinto la richiesta: manca il “requisito di sicuro ravvedimento” senza contare il “carattere intemperante”.

Da allora la libertà condizionale e la semilibertà sono state respinte di nuovo più volte. Renato Vallanzasca non deve mettere piede fuori dal carcere.

Però non basta. La pm dell'Ufficio esecuzioni Adriana Blasco ha chiesto di comminare al pericolo pubblico 6 mesi di isolamento diurno. Non che la pena dipenda da qualche nuova “intemperanza”. E' il riconteggio della pena con aggiunta l'ultima condanna, quella per cui il bandito della Comasina ha perso nel 2014 la semilibertà, che imporrebbe la misura severissima con 9 anni di ritardo sul delitto: il furto di due mutande e un paio di cesoie.

Gli avvocati hanno chiesto la perizia medico- legale per verificare la capacità del detenuto, malato, di sottoporsi a giudizio. Altrimenti quelle mutande che René ha già pagato con quasi 10 anni di galera e l'impossibilità di accedere a qualsiasi pena alternativa gli costeranno anche l'irrigidimento delle misure cautelari.

Ma quello che lo Stato non perdona a Vallanzasca non è il furtarello che in una quantità di articoli è stato promosso a “tentata rapina”, forse per vergogna. E' il non aver accettato di riconoscere l'autorità, è la mancanza dell'atto formale e ufficiale di prosternazione e da questo punto di vista il suo caso non è molto diverso da quello dell'ex capo brigatista Mario Moretti e dell'ex terrorista nero Mario Tuti, che restano in galera perché non si decidono a spedire le lettere con la richiesta di perdono alle famiglie delle vittime. Un atto formale, sul cui significato profondo nessuno si racconta bugie, ma che ha appunto il valore di un atto di prosternazione. Loro però almeno hanno accesso alle pene alternative, anche se Tuti viene vessato spesso e senza motivo. Vallanzasca no. Per lui c'è solo la galera perché il rifiuto di riconoscere l'autorità dello Stato non passa solo per atti mancati, come le suddette lettere, ma anche per reati, sia pure di serie z come quel fatale taccheggio.

Per tutta la vita “il bel René” ha dovuto fare i conti con un carattere spavaldo e ribelle che è rimasto indomato e anche se l'uomo non rappresenta più un pericolo sociale quel carattere ribelle deve essere punito. Il primo reato, commesso a 8 anni insieme al fratello è esemplare: il tentativo di liberare gli animali di un circo. Lo affidano alla prima moglie del padre, al Giambellino, e alla fine degli anni ' 60 è già un protagonista della malavita milanese. Guida una banda tra cui spiccano Antonio Colia, detto “Pinella”, secondo alcuni il vero cervello del gruppo e Rossano Cochis. Sono banditi quasi all'antica, mettono a segno una serie di rapine ma senza vittime

e senza rapporti di sorta con la criminalità organizzata, vivono alla grande, spendono tutto in macchine e abiti, il capo, Renato, si vanta di vestire solo abiti cuciti da Caraceni. La corsa finisce nel 1972. A Milano c'è un nuovo capo della polizia, Achille Serra. Convoca e interroga Vallanzasca che lo sfida. Si sfila il rolex d'oro, lo mette sulla scrivania: “Se riesce a incastrami è suo”. Serra mastica amaro ma proprio in quel momento arriva la telefonata che incastra Renato. Durante la perquisizione sono stati trovati in un cestino della spazzatura i resti di un biglietto che prova la colpevolezza del bandito spavaldo e del fratello Roberto. Serra restituisce l'orologio ma Vallanzasca va in galera. Ci resta quattro anni, poi evade.

La leggenda del “pericolo pubblico” nasce in quei pochi mesi di latitanza dal luglio 1976 al febbraio 1977. René rimette insieme la banda della Comasina. In ottobre attacca il carcere di Lodi e fa evadere Colia. Le rapine si contano a decine. La faida con la banda di Francis “Faccia d'Angelo” Turatello il boss numero 1 della mala milanese insanguina bische e night club. I due si riconcilieranno anni dopo in carcere, con un espediente diplomatico. Vallanzasca sposerà una delle tante ammiratrici che gli riempiono la cella di lettere d'amore. Turatello sarà testimone e il rito salva la faccia a entrambi.

Nei mesi ruggenti la banda della Comasina si dedica anche ai sequestri. Il principale è quello della sedicenne Emanuela Trapani, figlia di un industriale. E' un sequestro sui generis: una notte la ragazza imbocca la porta dell'appartamento dove la tengono prigioniera e torna a casa. Forse Vallanzasca, che la sorvegliava, si era addormentato. Forse avevano una relazione, avevano litigato e la ragazza si era innervosita: di certo non era la prima volta che lasciava la “prigione”. Di fatto la sequestrata arriva sotto casa e fa in tempo a citofonare. Poi il carceriere la raggiunge in macchina e la convince a tornare a casa.

In febbraio una sparatoria a un posto di blocco sull'autostrada si conclude con la morte di due agenti e un bandito. Il capobanda, ferito, verrà arrestato otto giorni dopo a Roma. In carcere Vallanzasca non è stato un detenuto tranquillo: ha tentato tre evasioni e in una di queste è riuscito a restare fuori dal carcere per venti giorni, nel 1987. Ha ucciso un ragazzo della sua banda che lo aveva tradito sfidandolo in una sorta di duello rusticano, dopo avergli fornito il coltello. Un omicidio è sempre un omicidio ma negli sanguinosi dei boia delle carceri sembra una scena da romanzo.

Renato Vallanzasca è un bandito e lo resterà in un certo senso sempre. Ma dopo quasi 50 anni di galera senza contare i 4 dal 1972 al 1976, invecchiato e malato, senza che rappresenti più un pericolo, non concedergli la condizionale, di cui godono condannati con una storia ben più sanguinosa e addirittura tenerlo in isolamento non è giustizia e neppure vendetta. E' sadismo.