Indagati due agenti della penitenziaria per il suicidio del 22enne Valerio Guerrieri avvenuto a febbraio scorso nel carcere di Regina Coeli, ma rimane il fatto oggettivo che in carcere non doveva starci. «Se avessero controllato il 22enne, non avrebbe mai avuto abbastanza tempo per legarsi un lenzuolo intorno al collo e morire soffocato», sostiene il pm Attilio Pisani, che ha iscritto due agenti della penitenziaria nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio colposo. La contestazione mossa dalla procura è di non aver rispettato le disposizioni imposte dal protocollo, che imponevano verificare cosa stesse facendo Valerio in cella ogni quarto d’ora. «L’unica cosa che non vorremmo da tutta questa inchiesta - ha dichiarato Patrizio Gonnella di Antigone - è che si vada alla ricerca di capri espiatori e che tutto si risolva in una questione di mancata sorveglianza. Non è con un controllo esasperato, né privando i detenuti di magliette, cinte o lenzuola che si può risolvere la questione suicidi. Il rischio, anzi, è quello di rendere la vita del detenuto ancora più faticosa e difficile di quella che già è». Critico anche il garante regionale dei detenuti Stefano Anastasia che già su Il Dubbio aveva denunciato il caso spiegando che Valerio doveva in realtà essere ospite di una Rems: «Intanto, solo a Regina Coeli, ieri erano ancora sette gli internati trattenuti illegittimamente in carcere, proprio come Valerio. So bene che nessuna azione penale risarcirà il dolore dei familiari di un ragazzo morto suicida, ma è troppo facile accantonare lo scandalo delle detenzioni illegittime dei malati di mente, che avrebbero bisogno di accoglienza e cura sul territorio, in comunità o nelle Rems. In questo modo non si farà altro che incentivare atteggiamenti difensivi del personale sanitario e di polizia penitenziario, costretto a scaricarsi della responsabilità di un eventuale suicidio in carcere».

La vicenda di Valerio, in realtà, appare una cronaca di una morte annunciata. A spiegarlo molto bene è stato il comunicato della camera penale di Roma che ha rico- struito la storia agghiacciante di questo ragazzo di vent’anni, affetto da patologie psichiche, ma curato illegittimamente con il carcere. Il 3 settembre del 2016, Valerio viene arrestato per resistenza, lesioni e danneggiamento; gli vengono applicati gli arresti domicidi liari ma la polizia del commissariato di Aosta, ritenuta l’inidoneità della sua abitazione, lo porta invece a Regina Coeli. Il 25 ottobre il tribunale modifica la misura cautelare in atto, ribadendo gli arresti domiciliari. La corte d’appello aveva però stabilito che Valerio fosse trasferito in una Rems. L’otto novembre viene disposta la perizia psichiatrica e viene trasferito nella Rems di Ceccano. Il 15 dicembre il tribunale di Roma sostituisce gli arresti domiciliari «con l’applicazione in via provvisoria della misura di sicurezza del ricovero in casa di cura e di custodia». Ma il responsabile della Rems di Ceccano - dopo appena qualche giorno di internamento – ritiene di dover contestare le conclusioni degli psichiatri. Sempre nella ricostruzione fatta dalla camera penale di Roma, risulta che il 21 dicembre del 2016, il pm chiede che a Valerio sia applicata la custodia cautelare in carcere; il Tribunale dispone in tale senso, convocando nuovamente il perito per l’udienza del 12 gennaio del 2017 al fine di un approfondimento sulla capacità di intendere e volere di Valerio che intanto torna in cella. Il 14 febbraio di quest’anno il perito d’ufficio conferma l’esistenza di uno scompenso tale da scremare grandemente la capacità di intendere e volere di Valerio ed evidenza il concreto pericolo che si tolga la vita. Nella stessa data il Tribunale di Roma c’è la sentenza che Valerio debba essere ricoverato in una Rems. Valerio però rimane in lista d’attesa dentro il carcere. Il 24 febbraio si impicca nel bagno della propria cella dove era recluso illegittimamente.