«Basta automatismi: l’esecuzione penale, con la riforma penitenziaria, sarà basata sul principio della personalizzazione del trattamento». Il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri parla della svolta in arrivo con i decreti attuativi che il ministro Andrea Orlando invierà a breve a Palazzo Chigi. Personalizzare, spiega, vorrà dire sia dare massima applicazione possibile alle misure alternative, sia assicurare percorsi specifici per chi sconterà fisicamente in carcere la pena.

Sottosegretario Ferri, si parla di nuovo di sovraffollamento, cresce il numero dei suicidi in carcere e il rischio di radicalizzazione religiosa tra i detenuti.

Modernizzare il mondo delle carceri, e per esso intendo l’evoluzione dei modelli di trattamento, il miglioramento della vita detentiva e la semplificazione delle procedure in capo al magistrato di sorveglianza, è una priorità nell’agenda del ministero della Giustizia. Parliamo di un terreno sul quale può ritenersi davvero radicata l’azione riformatrice di questo governo, dalla gestione della fase emergenziale successiva alla sentenza Torreggiani, attraverso la nuova stagione culturale inaugurata con gli Stati generali dell’esecuzione penale, per finire alla legge delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario la cui attuazione, entro la fine della legislatura, avrà posto finalmente le basi per la costruzione di un modello detentivo moderno e rispettoso dei diritti dei detenuti.

Intervento urgente, secondo il rapporto diffuso a settembre dal Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa.

Indubbiamente la questione del sovraffollamento segnalata da Strasburgo è reale: la popolazione carceraria è aumentata dal livello più basso, 52.164 presenze, registrato a dicembre 2015, alle quasi 57.000 presenze al 30 giugno di quest’anno. Questo dato, come evidenzia il Dap, va spiegato con la cessazione, a dicembre 2015, della misura straordinaria della liberazione anticipata speciale. Non va sottaciuto che in Italia lo spazio a disposizione del singolo detenuto viene determinato in 9 metri quadri, a fronte dei 6 in cella singola e dei 4 in cella multipla indicati dal Comitato per la prevenzione della tortura. È ovvio che questa segnalazione va tenuta nella massima considerazione, è un monito autorevole a concludere rapidamente il processo teso a stabilizzare gli effetti degli interventi che hanno consentito di chiudere il caso Torreggiani.

Come si è concretizzato il progetto riformatore?

Parliamo di interventi complessi, non isolati ma di sistema, nel senso che non è possibile rinnovare l’ordinamento penitenziario senza cambiare il volto della sanzione con l’obiettivo di deflazionare il processo penale, fatti salvi i casi in cui questa è giustificata dal disvalore della condotta o dalla finalità del trattamento punitivo. Vanno create al tempo stesso le condizioni per realizzare un carcere fuori dal carcere, attraverso forme di custodia attenuata che siano idonee a realizzare la funzione costituzionale della pena. Tutto questo senza abdicare alla tutela della sicurezza della collettività e senza arretramenti dello Stato nel garantire l’effettiva applicazione delle norme.

Un equilibrio difficile?

La strada seguita e da seguire è rivedere la disciplina delle misure alternative, con l’obiettivo, già sperimentato con successo nel 2013, di estendere l’accesso ai domiciliari e l’affidamento in prova ai servizi sociali, di limitare il più possibile il ricorso al carcere per quei condannati la cui detenzione intramuraria sarebbe sproporzionata rispetto alla loro pericolosità e alla gravità del reato. A questo si aggiunge il miglioramento della qualità dell’osservazione scientifica della personalità da condurre in libertà e dei controlli da parte degli Uepe, coinvolgendo la polizia penitenziaria.

Ci saranno anche meno automatismi nei trattamenti riservati al singolo detenuto?

Assolutamente: si prevede l’eliminazione di automatismi e preclusioni che possano impedire o ritardare l’individualizzazione dei trattamenti.

Nei primi nove mesi del 2017 è aumentato il numero dei detenuti che si sono tolti la vita.

Il compimento di gesti estremi da parte dei detenuti e degli agenti di polizia penitenziaria ci lascia sgomenti e crea grande dolore in tutti noi. La prevenzione è nella differenziazione dei percorsi penitenziari per consentire l’emersione delle condizioni del singolo detenuto. In questo senso, numerose sono le direttive emesse dall’Amministrazione penitenziaria nell’ultimo biennio proprio per migliorare la capacità del sistema di individuare con precocità le situazioni di disagio.

E in concreto quali misure si possono adottare?

È decisivsa la conoscenza dei bisogni della persona detenuta per individuare tipologie di trattamento più personalizzate possibile che prevedano, ad esempio, continuità nelle relazioni con i familiari e l’accesso ad internet, o che evitino il collocamento in celle singole.

Altra prevenzione necessaria è quella relativa al rischio di radicalizzazione dei detenuti di religione islamica.

Altro tema delicato. È in corso un’intensa attività di osservazione delle abitudini carcerarie dei circa 500 detenuti a rischio. Dal 2014 ad oggi sono stati espulsi 91 soggetti, 46 dei quali nel solo 2017. Ma una reale prevenzione del rischio può compiersi solo favorendo l’integrazione dei detenuti stranieri con la mediazione culturale ed ampliando, come previsto dalla riforma dell’ordinamento penitenziario, la libertà di culto negli istituti. Torniamo, ancora una volta, all’importanza della conoscenza e del dialogo per avvicinare identità diverse ed evitare forme di discriminazione che possono generare fondamentalismi e reazioni violente.