È stato pubblicato il primo rapporto della Polizia penitenziaria della Lombardia. Un lavoro meticoloso (reperibile su Sistema penale, www.sistemapenale.it, rivista online diretta dal professor Gian Luigi Gatta) che consente di conoscere un mondo caratterizzato spesso dal pregiudizio e sottoposto il più delle volte a valutazioni superficiali, senza la conoscenza delle dinamiche che lo riguardano.

Lo studio è stato curato da Roberto Cornelli, professore di Criminologia presso l’Università di Milano-Bicocca con una lunga esperienza nei settori della criminologia, della giustizia penale, della sicurezza urbana e della Transitional Justice. I contributi, oltre a quelli dell’accademico, sono di Chiara Chisari, Alessandra Sacino e Laura Squillace. L’indagine PolPen-XXI, è stata condotta dall’Università degli Studi di Milano-Bicocca (Dipartimento di Giurisprudenza), in collaborazione con il Prap-Lombardia e, come rileva il professor Cornelli, «costituisce la prima survey sul personale di Polizia penitenziaria condotta in una regione italiana, la Lombardia».

La valenza dello studio verte sull’analisi del punto di vista degli operatori e delle operatrici di Polizia penitenziaria, che ha consentito di aprire una discussione pubblica sul sistema penitenziario stesso, senza tralasciare l’esigenza di conoscere meglio le condizioni lavorative del personale. Roberto Cornelli è stato incaricato dal Provveditorato Regionale per la Lombardia-Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria-Ministero della Giustizia. La sua, è bene evidenziarlo, non è un’iniziativa isolata. Tutt’altro. Si inserisce all’interno di un più ampio progetto di ricerca accademico, che, a partire da quattro focus groups condotti con alcuni agenti - uomini e donne - provenienti da tutti gli istituti penitenziari milanesi, intende approfondire e far conoscere la gestione degli eventi critici nelle attività di polizia, attraverso tecniche di indagine qualitativa e interviste di profondità.

Tutti i focus sono stati realizzati nell’ambito di un corso di formazione organizzato dal Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per la Lombardia. La metodologia utilizzata si è basata sull’invio, attraverso la piattaforma LimeSurvey, a tutto il personale di Polizia Penitenziaria della Lombardia un questionario a risposte chiuse. La fase di rilevazione dei dati, su base volontaria e con la garanzia del pieno anonimato, si è svolta nel mese di marzo del 2021.

Il tasso di risposta è stato del 32,7%. Il questionario è stato somministrato a 845 agenti, 684 uomini e 130 donne; non hanno specificato il proprio genere 31 partecipanti. Per quanto concerne l’età, l’88,8% dei e delle partecipanti ha un’età compresa tra i 26 e i 54 anni e il 70,2% ha completato un ciclo di studi nelle scuole medie superiori. Il 12% dei e delle partecipanti ha dichiarato di lavorare in un carcere di dimensioni ridotte, il 47,1% in un istituto di medie dimensioni e il 38,5% in un istituto di grandi dimensioni. «Studiare il carcere e le sue pratiche quotidiane – si legge nello studio - è una “una vera e propria sfida culturale e professionale” che deve essere affrontata avendo ben chiara la logica coercitiva dell’istituzione penitenziaria e, al tempo stesso, mettendo a tema il suo carattere istituzionale non riducibile nella definizione ormai classica di istituzione totale. Concepire il carcere come “sistema di amministrazione della coercizione”, infatti, “non risolve la riflessione sulla questione carceraria, ma costituisce semmai una chiave per iniziare a osservare l’istituzione nelle sue dinamiche quotidiane, tenendo conto innanzitutto delle azioni, delle interazioni, delle percezioni, delle emozioni, dei significati e delle intenzioni degli attori istituzionali che interpretano e costruiscono attivamente discorsi e pratiche detentive in relazione alle aspettative di governo delle emergenze che sono riposte su di loro”».

Tra gli obiettivi dei curatori della ricerca vi è la necessità di prendere in considerazione i soggetti che vivono il carcere e nel carcere. Il riferimento è ai detenuti e a chi si occupa della loro sorveglianza, che non possono essere considerati i protagonisti di un mondo sconosciuto o volutamente relegato in un angolo. «In tal senso – è evidenziato nello studio -, cercare di comprendere l’universo carcerario è rilevante per consentire una discussione pubblica sul sistema penitenziario stesso e, al contempo, sul benessere di chi in esso vive e lavora. L’evoluzione del sistema penitenziario si configura come “un dispositivo di contenimento delle emergenze sociali” e di disciplinamento del corpo sociale, in cui la Polizia Penitenziaria gioca un ruolo fondamentale, poiché ad essa è delegata la gestione della quotidianità del carcere e il rapporto con le persone detenute».

Per questo motivo parlare di carcere, di detenuti e di Polizia penitenziaria non deve essere considerato un esercizio retorico per soli addetti ai lavori. L’esperienza di questo primo rapporto deve aprire la strada ad altri studi in tutta Italia. «Si tratta – concludono gli autori - di un primo passo, evidentemente. È importante che l’indagine non rimanga isolata e che possa essere non solo ripetuta in Lombardia nei prossimi anni ma anche realizzata in altri provveditorati o a livello nazionale, come strumento a disposizione di ogni contesto regionale. È, infine, auspicabile che la ricerca sulla Polizia penitenziaria prosegua anche con altre metodologie d’indagine di tipo qualitativo (colloqui con operatori e operatrici, osservazione diretta delle pratiche e analisi testuale) capaci di approfondire quegli aspetti che dai risultati della survey sono apparsi particolarmente rilevanti, come la gestione degli eventi critici, la percezione di de-legittimazione istituzionale e la propensione all’uso della forza».