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Un altro suicidio dietro le sbarre. Un uomo di circa 40 anni, di origine magrebina, si è tolto la vita nella sua cella nella casa di lavoro di Vasto, in Abruzzo. Era detenuto nell’articolazione per la Tutela della salute mentale. È stato trovato impiccato, senza vita.
Il bilancio è drammatico: 37 detenuti morti suicidi nei primi sei mesi dell’anno. A loro si aggiungono un recluso ammesso al lavoro esterno, uno ospitato in una Rems, e tre operatori penitenziari che si sono tolti la vita. È una vera e propria strage silenziosa.
A lanciare l’allarme è Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia penitenziaria: «Il caldo record peggiora tutto, ma non è la causa. È solo il detonatore. I problemi sono altri, e sono vecchi».
A Vasto, i detenuti presenti sono 103, un numero non eccessivo. Ma il vero nodo è il personale. Servirebbero almeno 143 agenti. Ce ne sono solo 69. La struttura per la salute mentale dove si trovava il detenuto suicida, secondo De Fazio, «spesso resta scoperta, senza sorveglianza». Anche il personale dell’area educativa, dice ancora il sindacato, non è sempre presente nei giorni feriali.
«La Polizia penitenziaria è stremata. I turni possono durare anche 26 ore consecutive. È caporalato di Stato. Bisogna fermare tutto questo. Il ministro Nordio e il capo del Dap, de Michele, devono dare risposte concrete», conclude De Fazio.
E mentre si continua a morire, la politica prova a reagire. O almeno a guardare da vicino. A Genova, nel carcere di Marassi, ieri sono arrivati i parlamentari Maria Elena Boschi, Roberto Giachetti e Ivan Scalfarotto. Una visita ispettiva dopo il caso choc delle sevizie a un giovane detenuto, violentato e torturato da altri compagni di cella.
«Abbiamo trovato un carcere in piena emergenza. Dentro ci sono 650 detenuti, ma la capienza è di circa 500. Fa un caldo insopportabile. E come in tutte le carceri italiane, mancano agenti», si legge nella nota di Italia Viva. I parlamentari hanno parlato anche dell’effetto del nuovo Decreto Sicurezza. Le pene per le proteste dei detenuti rischiano di diventare più dure. Ma secondo Boschi, Giachetti e Scalfarotto, non è questo il punto: «Il sistema carcerario italiano è al collasso. E il governo resta immobile». Secondo i tre esponenti di Italia Viva, «sarebbe bastata una misura semplice e di buonsenso: portare a 60 giorni ogni semestre la liberazione anticipata per i detenuti che si comportano bene. Ma il governo l’ha rifiutata». Quella proposta di legge sulla liberazione anticipata speciale di Roberto Giachetti e Nessuno Tocchi Caino che della quale si sono perse le tracce, dopo un ping pongo tra Aula e commissioni.
Durissimo anche il commento di Osvaldo Napoli, della segreteria nazionale di Azione. «Nelle carceri si muore per il caldo, per la sporcizia, per mancanza d’igiene. Ma soprattutto si muore perché non c’è dignità», attacca. Secondo Napoli, la responsabilità è chiara: «A Meloni e Nordio non interessa nulla dei 64mila detenuti che vivono in condizioni disumane. Le carceri italiane ospitano il 40-45% in più di quanto potrebbero. Sono diventate discariche di umanità, luoghi di miseria e abbandono». E ancora: «Il governo ha deciso che nessun atto di clemenza è possibile, nemmeno ora che persino il Presidente della Repubblica ha lanciato un appello. Una vergogna. Ma per Meloni e Nordio il senso della vergogna è un concetto smarrito».
Un altro segnale, più istituzionale, è arrivato venerdì da Roma. Il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, ha visitato il carcere di Rebibbia. È stato accolto dalla direttrice, Maria Donata Iannantuono, e da una delegazione della Polizia penitenziaria. Ha incontrato anche alcuni detenuti, tra cui l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno. «Volevo essere qui per dimostrare vicinanza a chi lavora in queste strutture. Sono professionisti che ogni giorno garantiscono la sicurezza, ma anche la speranza”, ha detto Fontana.
Il presidente della Camera ha ricordato la seduta straordinaria tenuta a marzo proprio sul tema carcerario. «Dobbiamo affrontare problemi storici: sovraffollamento e carenza d’organico. Solo così miglioreremo le condizioni sia dei detenuti che del personale», ha affermato.
Un discorso istituzionale, lontano dai toni accesi dell’opposizione. Ma che conferma, ancora una volta, che il tema delle carceri è esplosivo. Non solo per chi ci vive, ma per l’intero Paese. Intanto, dentro si continua a morire in silenzio. Senza clamore. Con un cappio al collo o con una lametta. Si muore per il caldo, per la solitudine, per la disperazione. Si muore perché si è invisibili.
E mentre il dibattito politico si divide tra ideologia e retorica, la realtà delle celle resta la stessa: sovraffollate, bollenti, dimenticate.