La Corte d’appello di Brescia ha assolto Antonio Gozzini, 81enne che nel 2019 uccise la moglie, Cristina Maioli. I giudici d’appello hanno confermato la sentenza in primo grado: Gozzini era incapace di intendere e di volere perché affetto da “delirio di gelosia”, considerato una patologia che impedisce a chi ne è colpito di avere ogni capacità di discernimento. Anche la decisione della Corte d’appello è destinata a far discutere, nonostante la richiesta del Procuratore generale Guido Rispoli. L’accusa aveva chiesto la condanna di Gozzini a ventuno anni di carcere, in quanto ritenuto pienamente capace di intendere e volere. Il Pg al termine della lettura del dispositivo della sentenza non ha voluto commentare e ha detto soltanto che attende di leggere le motivazioni.Ogni giorno, purtroppo, la cronaca registra episodi violenza ai danni delle donne, che sfociano pure in femminicidi. L’uccisione dell’insegnante Cristina Maioli, non condannata in un’aula giudiziaria e con una sentenza, suscita clamore e perplessità, prima di tutto per le valutazioni in ordine al “delirio di gelosia” ritenuto non punibile. Subito dopo l’omicidio, Gozzini vegliò sulla moglie e all’arrivo dei carabinieri confessò. Nel dicembre del 2020, in occasione dell’assoluzione in primo grado i giudici evidenziarono che non si intende «riservare a Gozzini un’indulgenza, ma semplicemente tener conto di un elementare principio di civiltà giuridica, quello della funzione rieducativa della pena, secondo cui non può esservi punizione laddove l’infermità mentale abbia obnubilato nell’autore del delitto la capacità di comprendere il significato del proprio comportamento». Diversa la tesi del Procuratore generale di Brescia, che in appello ha chiesto per l’uomo la condanna alla pena massima. «La sua gelosia patologica – ha detto in aula nelle battute finali del processo di secondo grado - non era mai emersa prima dell'omicidio. Se n'è parlato solo a posteriori e solo nel tentativo di trovare una causa di non punibilità».