Niente “intromissioni” degli avvocati nei giudizi sulle toghe: è questo il succo della discussione di ieri al plenum, dove si è chiuso il dibattito sugli emendamenti, in attesa del voto di oggi sul testo coordinato ridisegnato all’esito del dibattito in aula. Un dibattito che ha diviso i consiglieri laddove argomento di discussione sono stati gli avvocati, che nel progetto di riforma della ministra Marta Cartabia avrebbero voce in capitolo, all’interno dei consigli giudiziari, nelle valutazioni di professionalità dei magistrati e nelle conferme per i ruoli direttivi. Ma tale elemento, secondo i togati di Palazzo dei Marescialli, si tradurrebbe in una debolezza, spingendo i magistrati ad accattivarsi le simpatie degli avvocati che, di contro, agirebbero in nome di interessi personali. A tentare di rimettere a fuoco la questione è stato il laico di Forza Italia Alessio Lanzi, che ha evidenziato che a prendere parola non sarebbero singoli avvocati, ma rappresentanti dei Coa, organismi di diritto pubblico e, dunque, soggetti istituzionali. «L’idea che possa esserci una captatio benevolentiae significa ipotizzare che l’intero Coa si coalizzi per corruttele - ha dichiarato -. Mi sembra impensabile. È chiaro che sono tutte scelte corporative, la vostra come la nostra. Ma lo sono in senso buono: la difesa di una categoria. Noi difendiamo una categoria sulla base di principi costituzionali, ovvero sulla base dell’articolo 111 della Costituzione; il corporativismo dell’altra parte non capisco su quale normativa di rango costituzionale si basi, se non sul pericolo di perdere il potere». Per il togato di Area, Mario Suriano, però, basta quanto già previsto dalle norme vigenti: l’avvocatura può ricorrere alle segnalazioni di fatti negativi. «Non è stata esclusa la componente forense dal circuito delle valutazioni della professionalità del magistrato - ha evidenziato -. L’emendamento serve a ricondurre la questione nell’ambito del giusto rapporto tra magistrati, utenti e professionisti. Che la valutazione si possa fare senza un appiglio a fatti concreti la troverei una cosa abbastanza bizzarra». Obiezione che trova d’accordo anche il laico in quota M5S Alberto Maria Benedetti, secondo cui tale metodo condurrebbe ad una degenerazione, quella per cui «i giudici vengono valutati come trattorie su Trip Advisor». Il giudice, ha evidenziato, «non svolge una professione misurabile con criteri che usiamo per altre professionalità»: il rischio sarebbe quello di arrivare ad «un sistema deprimente». Ma la necessità di ricorrere al parere degli avvocati, secondo il laico della Lega Stefano Cavanna, risiede nell'eccessiva discrezionalità del Consiglio per quanto riguarda i parametri dei direttivi. «Se ci fossero griglie più precise - ha sottolineato - ci sarebbe meno necessità di chiedere il parere degli avvocati». Ovvero: non bastano i titoli per avere contezza della professionalità di una toga, tant’è che «a volte mi capita di chiamare dei colleghi e chiedere: com’è quel magistrato lì? È bravo? Il tema è questo». Per avere un quadro completo, quindi, serve anche la valutazione «di altri soggetti che operano nella giustizia, perché i rischi ci sono». Un contributo di ulteriore conoscenza nei cui confronti, secondo il laico, ci sarebbe un muro di gomma. «Questo blocco completo a qualsiasi contributo di conoscenza o anche di opinione, da parte degli avvocati, francamente non lo condivido, seppur dando atto che qualche problema ci può pure essere», ha aggiunto. Ma secondo Ilaria Pepe, togata di Autonomia&Indipendenza, «il parere di un ente, seppur autorevole, che è al di fuori del circuito del governo autonomo» è un modo per «annacquare il capitale sociale» dello stesso Csm. Anche perché, secondo Michele Ciambellini (Unicost), il rischio di correntismo esiste anche all’interno dei Coa e «non vorrei che tutto questo si riverberasse ulteriormente nel circuito del governo autonomo senza che servisse ad avere una valutazione sincera del magistrato». Il problema, per il togato di Area Giuseppe Cascini, è anche un altro: «Innanzitutto il tipo di interesse di cui si è portatori, che è rilevante ai fini della valutazione - ha spiegato -. Ma poi cosa fa il Coa quando deve dare una valutazione del magistrato? Un sondaggio? Raccoglie la valutazione di tutti gli iscritti?». Proprio per tale motivo, «un sistema di segnalazione dei fatti fa modo che il Coa sia il veicolo attraverso il quale» eventuali episodi critici «possano essere portati all’attenzione del Csm». Un coinvolgimento più forte all’interno dei consigli giudiziari, invece, «dà un potere di valutazione che va oltre la valutazione», perché spesso ha a che fare con informazioni «non controllabili. Per questo la legislazione ha distinto i fatti dalle opinioni». Critico anche il togato indipendente Nino Di Matteo, che ha precisato di non nutrire alcuna «sfiducia preconcetta» nei confronti della categoria, definendosi «fiero» di essere figlio e nipote di avvocati. «Il problema è un altro: questa parte dell’emendamento governativo è in linea con l’ispirazione di fondo di questa riforma, cioè di creare e di valorizzare la figura del magistrato “affidabile”, non nel senso di bravo, preparato, libero, indipendente e coraggioso, ma nel senso del magistrato i cui comportamenti possono essere prevedibili e in qualche modo controllabili». Una riforma «pessima e pericolosa» il cui scopo, ha affermato, sarebbe quello di omologare le toghe, a scapito di «autonomia, indipendenza e libertà». Il plenum ha anche bocciato la proposta presentata da Loredana Miccichè, di Magistratura Indipendente, che intendeva invitare ministra e Parlamento a presentare una modifica costituzionale per affidare le funzioni disciplinari ad un'Alta Corte autonoma e separata dal Csm, mentre è stata approvata la proposta del gruppo di Area contro il carrierismo: la richiesta è di introdurre una «effettiva temporaneità» degli incarichi di vertice, «prevedendo l'obbligo di riprendere lo svolgimento delle attività giudiziarie ordinarie per un congruo periodo di tempo prima di poter aspirare ad un nuovo incarico, tornando a fare il «soldato semplice» per un periodo di tempo significativo prima di poter aspirare ad un nuovo direttivo.