Su un fatto sono tutti d’accordo, accusa e difesa: la terminologia usata dalle tre giudici della Corte d’Appello di Ancona per motivare l’assoluzione di due 24enni peruviani accusati di aver stuprato un’amica è umiliante. Lo dice al Dubbio uno dei difensori dei giovani, Gabriele Galeazzi, e lo dice anche il procuratore generale Sergio Sottani, che parla di «ulteriore violenza per le vittime». Al punto che ieri il ministero della Giustizia ha deciso di inviare ad Ancona degli ispettori, con lo scopo di svolgere accertamenti tra gli uffici di via Carducci, dove ieri le femministe della rete Rebel Network hanno protestato con un flash mob.

La vicenda, resa nota da Repubblica, ha fatto discutere per i passaggi in cui il collegio ha evidenziato la personalità «tutt’altro che femminile» e «piuttosto mascolina» della donna, cosa che «la fotografia presente nel fascicolo processuale appare confermare». Termini, superflui e «inappropriati» anche secondo Galeazzi, al punto, forse, di «condizionare» i giudici della Cassazione, che hanno deciso l’annullamento con rinvio della sentenza. «Dal mio punto di vista - afferma - sono state fatte delle valutazioni più personali che giuridiche e ciò può aver influito sulla Cassazione. Confido, però, che la sentenza di assoluzione venga confermata».

Non sono stati i tratti «mascolini» a spingere il collegio ad assolvere i due 24enni peruviani, condannati in primo grado a 5 e 3 anni. La ragazza, infatti, non è stata ritenuta attendibile, ma nella sentenza viene tirato in ballo anche il suo aspetto fisico. Secondo le giudici, la donna avrebbe inventato «buona parte del racconto», forse «per giustificarsi agli occhi della madre», che vedendola rientrare a notte fonda, ubriaca e sporca di sangue l’aveva punita prendendola a schiaffi. In ospedale la donna avrebbe parlato di un rapporto «iniziato prima in modo consensuale» e poi proseguito nonostante aver manifestato la volontà di interromperlo «per l’improvviso dolore provato».

Nei giorni successivi, inoltre, le analisi evidenziavano la presenza massiccia di Benzodiazepina, un potente psicofarmaco che l’avrebbe stordita e che, scrivono i giudici inciampando di nuovo in un linguaggio poco felice, «forniva alla scaltra peruviana una prova da sfruttare». Durante il processo la 24enne ha negato di aver voluto il rapporto, «smentendo quanto riferito ai medici», così come di aver assunto medicinali, anche quelli indicati «nel modulo del consenso informato» dalla ragazza. Circostanze, scrivono le giudici, che non sono «indice di buona fede».

E da qui la conclusione feroce: «non è possibile escludere che sia stata proprio» la 24enne «a organizzare la nottata “goliardica”», per poi iniziare a provocare uno dei ragazzi, «al quale la ragazza neppure piaceva, tanto da averne registrato il numero di cellulare sul proprio telefonino con il nominativo “Vikingo”», inducendolo ad avere rapporti «per una sorta di sfida» e che la ragazza «non ha inteso interrompere neppure quando ha avvertito che qualcosa non andava». La situazione si è complicata per l’emorragia e, tornata a casa, la donna «deve aver assunto dei medicinali in modo massiccio pur di placare i dolori».

Conclusioni che sconcertano la legale della 24enne, Cinzia Molinaro. «Quando tornò a casa non era in grado di ricordare quasi nulla - ha commentato - Aveva riportato gravi ferite, per le quali è stata operata e delle quali non si era neanche accorta; era in uno stato di torpore che le permetteva di ricordare solo flash: disse di non essere in grado di dire se avesse iniziato il rapporto in maniera consenziente ma che a un certo punto era stata molto male, aveva detto basta senza che il ragazzo si fermasse».