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«Abbiamo tutte le carte in regola per ospitare una sezione del futuro Tribunale unificato dei brevetti», dichiara al Dubbio l’europarlamentare del Carroccio Angelo Ciocca, all’indomani del convegno promosso dall’Ordine degli avvocati del capoluogo lombardo per sostenere la candidatura di Milano. Il Tribunale unificato dei brevetti ( Tub) sostituirà gradualmente le giurisdizioni nazionali per le controversie in materia brevettuale. Avrà una divisione centrale con sede a Parigi e due sezioni a Monaco di Baviera ( già sede dell’Ufficio europeo dei brevetti) e Londra, quest’ultima con specifica competenza sui prodotti farmaceutici e per la cura della persona, in evidente collegamento con la precedente presenza dell’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, che sarà invece trasferita in Olanda ( dopo la controversa attribuzione rispetto alla concorrente Milano).
La diversità di trattamento fra le due situazioni è dovuta al fatto che il Tub non è una istituzione dell’Unione europea, ma è il frutto di un Accordo multilaterale fra i Paesi aderenti, benché quasi coincidenti con l’intera Unione. Non solo: l’Accordo prevede che «Il tribunale applica il diritto dell’Unione nella sua integralità e ne rispetta il primato (…) Coopera con la Corte di giustizia dell’Unione europea per garantire la corretta applicazione e l’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione». Dunque, se anche dalla Brexit non derivano conseguenze automatiche per il Tub, i giuristi e il mondo delle imprese e delle professioni hanno già segnalato l’anomalia del mantenimento a Londra di una sezione della divisione centrale del Tribunale.
Lo scorso settembre il presidente dell’Ordine degli avvocati, Remo Danovi, ha candidato Milano - già sede di una divisione locale, competente sulle stesse materie - a sostituire Londra. E’ necessaria una «sinergia fra le Istituzioni, il coinvolgimento del Ministero degli esteri e la positiva collaborazione fra Comune di Milano e Regione Lombardia per sostenere la candidatura del capoluogo a sezione della divisione centrale del Tub, al posto di Londra», aveva sottolineato durante il convegno il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana. «Il governo non potrà che collaborare - aveva aggiunto - evitando di ripetere gli errori commessi in occasione della mancata assegnazione di Ema. Il Tub non deve essere una sorta di risarcimento, ma su quella partita siamo stati maltrattati e l’esperienza deve esserci di insegnamento. La candidatura di Milano è la migliore e può vantare più diritti rispetto a ogni altra ( l’Italia è il terzo Paese dell’Unione per brevetti europei registrati annualmente, ndr). Chiediamo che al più presto sia posta all’ordine del giorno di un prossimo Consiglio dei ministri europeo». Il presidente della Corte d’appello di Milano, Marina Tavassi, che ha contribuito alla definizione delle regole processuali del Tub, ha già espresso il suo favore alla candidatura milanese.
Il sindaco di Milano Giuseppe Sala aveva invece evidenziato «l’utilità per l’Europa stessa dell’attribuzione della sede del Tribunale a Milano, capitale dell’innovazione, che deposita ogni anno all’attuale ufficio europeo dei brevetti di Monaco il 20% delle domande italiane ( 890 su 4.352). L’Europa ha bisogno di diversificare le sue capitali storiche, per avvicinarsi al crocevia tra Nord e Mediterraneo, Occidente e Oriente».
Remo Danovi, primo sostenitore della candidatura ( appoggiata anche dal Cnf) concludendo i lavori del convengo, aveva sottolineato che “ci sono molte buone ragioni giuridiche per ritenere impensabile che una delle tre sedi principali del Tribunale possa restare, dopo Brexit, a Londra. Il Tub dovrà applicare il diritto europeo, essere composto da funzionari e giudici cittadini dell’Unione europea, davanti a lui potranno intervenire avvocati e consulenti dei Paesi dell’Unione. Se anche il trasferimento della sede non rientra formalmente nella Brexit ( perché è previsto da un Accordo multilaterale) bisogna trarne le inevitabili conseguenze. «Tutti sono unanimi nel sostenere la nostra richiesta - aveva aggiunto senza distinzioni di appartenenze. Ora tocca al Governo attivarsi, anche in Europa. La questione, non più soltanto giuridica, è divenuta politica.