Ad accelerare i tempi della decisione di via Arenula è stata probabilmente una lettera con cui il procuratore di Bari Giuseppe Volpe ha chiesto, due giorni fa, di restare nel Tribunale penale pericolante di via Nazariantz piuttosto che «essere costretto a sopprimere attività e servizi» del suo ufficio. Deve essere stato il nuovo precipitare dell’emergenza verso un esito paradossale a spingere il guardasigilli Alfonso Bonafede verso una decisione difficile: revocare l’aggiudicazione della gara per la scelta dell’immobile in cui trasferire Tribunale e uffici inquirenti. Non si andrà dunque nell’ex Palazzo Inpdap che appartiene a una società di cui è socio al 50 per cento l’imprendi- tore Pino Settanni, entrato come semplice teste in alcune indagini della malavita barese. Sul nome dell’immobiliarista si era scatenata una durissima campagna di stampa, in particolare condotta da Repubblica, nonostante Settanni non fosse mai stato sfiorato da alcuna accusa. Polemiche che avevano trasformato in un ring la stessa aula di Montecitorio, quando a luglio vi si era discusso il decreto Bari, voluto da Bonafede per sospendere tutti i termini della giustizia pe- nale nel capoluogo pugliese, in modo da consentire lo smantellamento della tendopoli e, appunto, l’individuazione di una “soluzione ponte”. Con lo stop al contratto con la Sopraf di Settanni e al futuro trasloco nel palazzo che aveva ospitato gli uffici Inpdap, tutto sembrerebbe arenarsi, ma in realtà si tratta di un passo prevedibile e che dunque è stato opportuno compiere senza lasciar passare altro tempo.

«Con riferimento all’indagine di mercato pubblicata in data 25 maggio scorso per la ricerca di un immobile in locazione da destinare a sede del Tribunale di Bari e della Procura», si legge nel comunicato ufficiale, il ministero rende noto che, «con decreto del 14 agosto 2018, a seguito dell’esito negativo degli ordinari controlli amministrativi riguardanti il possesso dei requisiti e l’assenza di cause di esclusione, come dichiarati in sede di iniziale offerta, è stata revocata l’aggiudicazione in favore della Sopraf S. r. l., proprietaria dell’immobile in Bari, in via Oberdan 40». Cosa succederà ora? Intanto che Settanni potrebbe tentare la via dei ricorsi. Ma certo il ministero cercherà di accelerare i tempi per aggiudicare la gara a un altro “concorrente”, e individuare così subito un immobile diverso in cui progettare il trasloco degli uffici penali. Nel ricordato acceso dibattito a Montecitorio, lo stesso Bonafede aveva spiegato di aver agito con correttezza: «L’immobile scelto rispondeva ai requisiti, in base alle informazioni in nostro possesso, ma ho già chiesto approfondimenti agli uffici». Tali ulteriori verifiche hanno portato evidentemente a rilevare incognite anche sulla trasparenza dell’operazione che aveva consentito a Settanni di acquisire prima il palazzo per 4 milioni di euro da un fondo pubblico, e poi di affittarlo allo Stato per un milione e 200mila euro in 6 anni, dunque per 3 milioni di euro complessivi in più. Una “beffa”, certo. Ma resta da capire quanto abbiano pesato, sulla scelta di annullare tutto, le polemiche sui rapporti tra Settanni e un imprenditore, Michele Labellarte, ritenuto il “cassiere” del clan Parisi. «A Labellarte ho prestato molti soldi», aveva dichiarato Settanni, in qualità di teste, in un processo del 2015. L’immobiliarista poi scelto da via Arenula non aveva avuto problemi a rivelare quanto sapeva sui rapporti tra Labellarte e i boss. Una correttezza che non è bastata a ritenerlo un interlocutore affidabile per lo Stato.