Come è cambiata la lotta alla mafia a trent'anni dal maxiprocesso di Palermo? Se ne discute nell'Aula Magna della Corte di Cassazione nel corso di una due giorni organizzata dall'associazione Antonino Caponnetto, Anm e Consiglio nazionale forense. I lavori - aperti ieri dal Primo Presidente della Cassazione, Giovanni Canzio - proseguiranno per tutta la mattinata di oggi. A intervenire sui "tavoli tematici" si alternato magistrati, avvocati ed esponenti delle istituzioni. E se per il capo della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone, il reato d'associazione mafiosa va bene così com'è, per il presidente del Senato, Piero Grasso, «oggi vi sono nuove realtà criminali, forse è venuto il momento di adeguare il 416 bis, o di creare un altro reato, perchè le manifestazioni della realtà criminale sono diverse dal passato e adeguate ai contesti in cui le organizzazioni criminali operano, non solo al Sud, ma anche al Centro, al Nord e all'estero», dice l'ex giudice a latere del primo maxiprocesso a Cosa Nostra introducendo subito uno degli argomenti più discussi nel dibattito sul futuro della lotta alla criminalità organizzata. «Non dobbiamo aspettare un'altra strage o qualcosa del genere per poter di nuovo attivare la reazione dello Stato», aggiunge. La presidente della Commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi, invece, si dice preoccupata per alcune sentenze «come quella sulle vicende di Ostia, dove si fatica ancora a chiamare mafia quello che mafia invece è, perchè resta difficile negare che in quel contesto si è esercitato un controllo di tipo mafioso sul territorio». E che una parte della magistratura avverta la necessità di modificare la normativa antimafia per fotografare meglio l'evoluzione del fenomeno associativo è confermato dall'intervento di Franco Roberti, il procuratore nazionale Antimafia: «I meccanismi corruttivi sono la nuova frontiera, la vera trasformazione del metodo mafioso», esordisce. «Sul piano normativo serve un riconoscimento espresso di un nuovo e ulteriore metodo, quello corruttivo-collusivo, per riconoscerne il particolare disvalore che rende più pervasive le associazioni mafiose», continua il capo della Dna. Che poi auspica «ulteriori modifiche con la riforma del processo penale, con il nuovo codice antimafia e, per quanto riguarda la corruzione, prevedere agenti sotto copertura e la non punibilità di chi denuncia i fatti».Non la pensa allo stesso modo però il Consiglio nazionale forense. Il presidente, Andrea Mascherin, interverrà oggi per esporre il punto di vista dell'avvocatura sull'argomento. A parlare per conto dei difensori, ieri, ci ha pensato il consigliere Antonino Gaziano: «L'impianto va bene. Modificarlo con altre norme non serve per la comprensione della complessità del fenomeno corruttivo e collusivo. In ogni caso, i processi devono essere fatti con delle regole e delle garanzie che vanno rispettate. A prescindere dalla gravità dei reati». Sull'inopportunità di mettere mano al reato di associazione mafiosa, dunque, Gaziano trova un alleato inatteso: il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone. «Mafia e corruzione sono due cose differenti», dice l'inquirente palermitano dichiarandosi contrario a qualunque modifica al 416 bis. «Nella sua storia, la criminalità organizzata ha sempre fatto ricorso alla corruzione, fermo restando che mafia e corruzione sono due realtà diverse e non sempre dove c'è l'una c'è anche l'altra», dice Pignatone. «L'elemento di novità è che la corruzione è diventata strumento e manifestazione dell'intimidazione mafiosa».