«Nel contesto di una stabile relazione sentimentale», le prestazioni sessuali devono «considerarsi connotate da reciprocità, per cui non si comprende perché solo l’una delle parti debba considerarsi averle prestate in favore all’altro». Le considerazioni del giudice Vincenzo Pellegrino sono chiare: non è dato sapere perché, nonostante una coppia sia composta da due persone, solo ad una di esse venga contestato di aver utilizzato il proprio corpo per ottenere qualcosa in cambio. E non c’è nemmeno bisogno di spiegarlo: quell’unica persona accusata di essersi svenduta è una donna.

La premessa è d’obbligo per inquadrare una vicenda dai connotati grotteschi, perché da fatto di cronaca giudiziaria si è trasformata in vero e proprio gossip. Fino alle sue degenerazioni più bieche, tali da distruggere la figura professionale di un’avvocata, rea soltanto di essersi innamorata. Si tratta di Marzia Tassone, giovane professionista del foro di Catanzaro, indagata nell’inchiesta “Genesi”, al centro della quale c’è l’ex presidente della Corte d’Appello di Catanzaro, Marco Petrini. Il 23 novembre scorso, l’ex magistrato è stato condannato a 4 anni e 4 mesi in abbreviato per corruzione in atti giudiziari, sentenza che ha escluso l’ipotesi, formulata dalla procura di Salerno - competente per i reati compiuti dai colleghi di Catanzaro -, di aver favorito la ‘ndrangheta. Piuttosto, assieme agli altri coimputati, «ha agito per fini squisitamente personali». Un tornaconto che nulla ha a che fare con clan e boss, quanto, piuttosto, con l’ingordigia.

Ma tra le 156 pagine che compongono la sentenza un pezzo è dedicato anche a lei, l’avvocata Tassone. Nonostante il suo iter giudiziario sia ancora tutto in divenire, un pezzo delle contestazioni a lei mosse in concorso con Petrini si riversa anche in questo processo, dal quale è emerso che Petrini non favorì la donna con la quale ha intrattenuto, per un periodo di tempo, una relazione sentimentale. Secondo la procura di Salerno, Tassone avrebbe sfruttato la propria relazione con il giudice per ottenere aiuto in alcuni processi. Un fatto che non sussiste, stando alla sentenza. Gli episodi contestati sono tre. Per due - una promessa d’aiuto per la difesa di un imputato e alcuni suggerimenti forniti da Petrini all’avvocata in vista di un’udienza davanti al Riesame -, secondo il giudice «è di evidenza l’insussistenza del delitto contestato», in quanto quei processi non solo «non erano trattati da Petrini», ma neppure «erano pendenti presso l’Ufficio» di cui Petrini era presidente, per cui «non è dato comprendere quale atto del proprio ufficio l’imputato avrebbe offerto in corrispettivo al mercimonio sessuale». Inoltre mai Petrini avrebbe promesso di intervenire per «veicolare una soluzione favorevole agli assistiti di Tassone», come provano anche le intercettazioni.

Ma non solo: il magistrato aveva invitato la donna a partecipare ad un concorso per funzionario giudiziario, suggerendole, tra il serio e il faceto, di continuare ad arrotondare facendo l’avvocato, cosa vietata dalla legge, suggerimento di fronte al quale la donna ha reagito malamente. La terza contestazione riguardava, invece, il rigetto di utilizzare i verbali di un pentito in un processo che vedeva Tassone tra i difensori di uno degli imputati. Verbali alla cui acquisizione, però, Tassone non si era mai opposta e che risultavano ininfluenti, in quanto il collaboratore avrebbe potuto riferire soltanto su fatti successivi al periodo di contestazione. Ma, soprattutto, proprio in quel periodo, Tassone e Petrini avevano interrotto momentaneamente la relazione, «a causa di problematiche prettamente “personali”» . Il dato sociologico emerge tra le righe della sentenza. Emerge la condanna, per quanto sottile ed educata, al pregiudizio che ha travolto Tassone, costretta a fare i conti con i commenti, le accuse e gli insulti, come se il centro di tutta l’inchiesta fosse lei. Come se la sola responsabile di quella relazione fosse lei. E come se provare un sentimento fosse un reato. Il giudice, infatti, sottolinea che quello tra i due era un «rapporto sentimentale ( almeno da parte della donna)», iniziato da almeno due anni e andato avanti tra alti e bassi.

E tutto ciò che c’era tra loro era questo, sentimento: «Tassone aveva subito il fascino intellettuale del magistrato cui aveva chiesto consiglio, o meglio un confronto, su temi giuridici ma sempre in relazione a procedimenti che non gli erano assegnati, che neppure pendevano davanti alla Corte di appello di Catanzaro e rispetto ai quali Petrini mai aveva promesso alcuna forma di intervento né diretto né indiretto». Difficile capire come la vita privata della stessa sia finita, dunque, alla mercé dell’opinione pubblica, che mai ha mostrato indulgenza per l’intimità violata di una donna, allo stato dei fatti, ancora innocente. Ma il giudice riporta il rapporto tra i due ad una parità sostanziale. Perché quanto accadeva tra quell’uomo e quella donna era «reciproco». E il loro rapporto sentimentale e intimo, esistente da tempo, esclude «la possibilità stessa di degradare la concessione sessuale dell’una a “indebita utilità” percepita dall’altro; di individuare gli elementi integrativi di un mercimonio; di stabilire un collegamento sinallagmatico e/ o motivo, quale che sia, tra prestazioni sessuali ( che, si ripete, nel contesto di una stabile relazione sentimentale devono considerarsi connotate da reciprocità) e sviamento della funzione giuridica». Era solo amore. Almeno per lei.