La Corte europea dei diritti dell'uomo è una corte internazionale istituita nel 1959. Si pronuncia sui ricorsi riguardanti violazioni dei diritti civili e politici stabiliti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, attualmente ratificata da parte di tutti i 47 Stati membri del Consiglio d'Europa. In quasi 50 anni la Corte ha adottato più di 10mila sentenze che, vincolanti per gli Stati interessati, hanno portato i governi a modificare la loro legislazione e la propria prassi amministrativa in molti settori. Alla data del 30 settembre sono 74.150 procedimenti pendenti. In continuo aumento. L'Italia ha il non invidiabile record di far parte della top five, dopo Ucraina, Russia, Ungheria, Turchia, degli Stati che generano il contenzioso più elevato. Il presidente della Cedu, il giudice italiano Guido Raimondi, intervenuto ieri a un incontro in Cassazione, ha espresso però soddisfazione sui numeri complessivi: dopo essere stati superati dalla Turchia di Erdogan, la Romania sta per scalzarci dal quinto posto.L'Italia ha oggi il 9,1 per cento dei ricorsi totali. Tanto per fare un esempio impietoso, la somma dei ricorsi provenienti dagli altri 37 Stati, fra cui Germania, Francia, Inghilterra, Spagna, non arriva al 15 per cento.Un record presso la Corte di Strasburgo, comunque, è solo nostro. Il numero dei ricorsi per l'eccessiva durata dei processi. Ed il fatto che lo Stato italiano, nonostante venga puntualmente condannato, paghi con estrema difficoltà e a distanza di anni, le vittime di questo sistema giudiziario lento e farraginoso. Un primato che dovrebbe indurre più di una riflessione, nel momento in cui il Senato si accinge a esaminare una riforma che prevede di allungare a dismisura i tempi di prescrizione dei reati. Se davvero le norme inserite nel disegno di legge sul processo penale entrassero nell'ordinamento, lo score già inarrivabile dell'Italia raggiungerebbe probabilmente vette stratosferiche.Non è un caso che Raimondi, da presidente della Corte di Strasburgo, abbia lasciato trapelare un sentimento misto di impotenza e sconcerto, nel presentare le statistiche durante l'incontro di ieri presso la Suprema corte. Secondo il quadro offerto dal magistrato italiano (di cui in questa pagina trovate un'ampia intervista, ndr) , i giudici della Cedu non sanno in quale altro modo sollecitare un intervento di governo e Parlamento italiani sul tema dell'irragionevole durata dei processi. I ricorso arrivano puntuali e numerosissimi, la Cedu li evade, pur con i tempi inevitabilmente lunghi della giustizia sovranazionale, le sentenze richiamano continuamente Roma ad assumere misure per rimediare all'ingiustizia. Solo che l'Italia non sa trovare soluzioni. E anzi adesso si predispone a varare una legge che rischia di rendere ancora più lunghi i tempi della giustizia penale. I giudici di Strasburgo fanno tutto quello che possono. Ma come si è compreso dall'incontro di ieri, non resta loro che lasciarsi cadere le braccia.