PHOTO
Sono stati nominati la scorsa settimana i relatori in Senato del ddl che dovrà regolamentare l’incandidabilità dei magistrati nell’esercizio delle loro funzioni e il loro rientro in magistratura dopo la parentesi politica. La scelta è caduta sui senatori Felice Casson ( Mdp) e Giorgio Pagliari ( Pd). Casson è un veterano di questo provvedimento, essendone stato relatore già nel 2013.
Il testo approvato alla Camera prevede «per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, inclusi quelli collocati fuori dal ruolo organico», l’impossibilità di essere candidati «per l’elezione alla carica di membro del Parlamento europeo, senatore o deputato o a quella di presidente della Regione, consigliere regionale, presidente delle Province autonome di Trento e di Bolzano o consigliere provinciale nelle medesime Province se prestano servizio, o lo hanno prestato nei cinque anni precedenti la data di accettazione della candidatura, presso sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente, in tutto o in parte, nella circoscrizione elettorale». Gli stessi vincoli valgono per la candidatura alle cariche di sindaco, consigliere o l’assunzione dell’incarico di assessore comunale.
Non solo, per l’accettazione della candidatura in altro collegio o luogo diverso da quello in cui svolgevano la professione, i magistrati dovranno essere in aspettativa da almeno sei mesi. Unica “deroga”, lo scioglimento anticipato delle Camere o le elezioni suppletive, in questo caso sarà sufficiente essere in aspettativa al momento di accettare la candidatura. Per i magistrati sarà introdotto l’obbligo dell’aspettativa per ricoprire il ruolo di presidente del Consiglio dei ministri, vicepresidente del Consiglio dei ministri, ministro, viceministro, sottosegretario di Stato, sottosegretario regionale, assessore regionale o comunale se, all’atto dell’assunzione dell’incarico, non siano già collocati in aspettativa. La stessa dovrà, poi, durare per l’intero incarico.
Il provvedimento prevede per i magistrati candidati, ma non eletti, il rientro nell’incarico con l’obbligo però dell’astensione nei due anni successivi alla data delle elezioni dalle funzioni inquirenti. Gli stessi non potranno essere assegnati ad uffici all’interno della circoscrizione elettorale in cui si sono candidati. Vengono ricollocati presso l’ufficio di provenienza coloro che provengono dai collegi giudicanti della Corte di Cassazione, del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti centrale, della Corte Militare di appello. I magistrati della Procura nazionale antimafia verranno ricollocati presso la procura generale presso la Corte di Cassazione. Al termine del mandato i magistrati verranno invece ricollocati, ove ne abbiano i requisiti, presso la Corte di Cassazione o la Procura generale della Corte di Cassazione, o in un distretto di Corte di Appello diverso da quello in cui è compresa la circoscrizione elettorale in cui erano stati eletti. Per tre anni non potranno ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi.
«E’ un provvedimento - dice il senatore Pagliari - che va nella giusta direzione, pur se non è la soluzione netta del divieto del rientro in magistratura, auspicata non senza ragioni da taluno». E su questo aspetto si segnala la “delusione” del consigliere Pierantonio Zanettin ( FI) che, prima di essere eletto componente laico del Csm, nel 2013 era stato relatore del ddl insieme a Casson. «L’iniziale ddl dice Zanettin - venne approvato all’unanimità. Si era trovata un’ampia convergenza sul fatto che il magistrato, terminato il suo mandato, non dovesse tornare a giudicare perché l’elemento essenziale di chi riveste la toga non è essere imparziale ma apparire tale. Mi sembra evidente che se una magistrato ha avuto ruoli politici e poi torna a giudicare la sua imparzialità può essere messa in discussione». «Il testo originale è stato “annacquato” ed è chiaro che il Pd abbia alla fine voluto rendere più ' blande' le regole per i magistrati che tornano in servizio dopo aver deciso di fare politica attiva», ha poi aggiunto Zanettin.