Non è stato sufficiente un mese al Csm per decidere se Pasquale Grasso, giudice del Tribunale di Genova ed ex presidente dell’Anm, debba subentrare o meno al posto del collega romano Marco Mancinetti, dimessosi da Palazzo dei Marescialli all’inizio dello scorso settembre. Mancinetti, esponente di Unicost, la corrente di centro delle toghe, era finito nelle ormai famose chat di Luca Palamara. La lettura di tali messaggi, contenenti pesanti giudizi su alcuni magistrati della Capitale, aveva determinato l’immediata apertura di un procedimento disciplinare nei suoi confronti da parte del pg della Cassazione Giovanni Salvi. Grasso era il stato il primo dei non eletti alle elezioni suppletive per la categoria dei giudicanti tenutesi a dicembre del 2019. Ma una interpretazione “bizantina” renderebbe incerta la sua nomina a consigliere superiore.

Secondo una lettura formalistica delle norme, Grasso, non avendo partecipato alle iniziali elezioni per il rinnovo del Csm, quelle del 2018, non sarebbe legittimato a subentrare a Mancinetti. Sul punto va, però, ricordato che la legge istitutiva del Csm prevede la sostituzione dei consiglieri dimissionari entro trenta giorni. Termine solo ordinatorio e di incerta interpretazione. Il countdown, in questo caso, quando inizierebbe? Dalle dimissioni di Mancinetti o dal diniego della Commissione verifica titoli, deputata ad accertare il possesso dei requisiti da parte dei futuri componenti del Csm?

La “sostituzione” di Mancinetti è un tema sparito dai radar dell’informazione ma di vitale importanza per il funzionamento del Csm. La prossima settimana, infatti, si deve decidere se Piercamillo Davigo, una volta andato in pensione per raggiunti limiti di età ( il 20 ottobre l’ex pm di Mani pulite compirà settant’anni), possa rimanere lo stesso al Csm. Magistratura indipendente, la corrente di Grasso, ha già fatto sapere che Davigo deve andare via. Dello stesso avviso l’Avvocatura dello Stato, con un parere firmato direttamente dall’Avvocato generale Gabriella Palmieri Sandulli e subito secretato dal vicepresidente David Ermini. La conta dei voti per la permanenza di Davigo è sul filo. Determinante sarà, in assenza di Grasso, il voto dei capi di Corte, il primo presidente Curzio e il pg Salvi, e dello stesso Ermini.

A favore della permanenza di Davigo è schierato il gruppo di Area. La corrente progressista delle toghe, per evitare “sorprese”, ha chiesto che il voto avvenga in modo palese e non, come previsto per i casi di decadenza, a scrutinio segreto. Non sono infatti da escludere colpi di scena nel segreto dell’urna dell’Aula Bachelet da parte di appartenenti alla corrente di Autonomia e indipendenza, fondata dallo stesso ex pm del Pool ma non più in assoluta sintonia con il leader.

Fa comunque riflettere, come ricordato dall’Unione Camere penali e da molti giuristi, che l’attività del Csm, in un momento estremamente delicato, con la ripresa dei contagi e la necessità di aggiornare le linee guida per garantire lo svolgimento dell’attività giudiziaria nei Tribunali, sia assorbita ormai da giorni nel dilemma relativo alla permanenza in Consiglio di un magistrato in quiescenza.

La discussione sulla permanenza di Davigo era prevista per il plenum dell’altro ieri, poi il rinvio a lunedì prossimo. È stato modificato il calendario dei lavori: a piazza Indipendenza non erano in programma attività la prossima settimana. Il motivo degli “straordinari”? I maligni fanno notare che questo fine settimana sono in calendario le elezioni per il rinnovo dell’Anm, e la corrente di Davigo arriva da una recente tornata elettorale, quella per i Consigli giudiziari, non proprio esaltante. Espulso Palamara, le correnti della magistratura, sembra insomma di capire, hanno ripreso il pieno controllo delle attività consiliari.