Nessuno poteva realisticamente aspettarsi, sull’ergastolo ostativo, uno slancio garantista incondizionato. Nessuno poteva illudersi che l’attuale Parlamento concepisse una legge davvero illuminata. E infatti il testo condiviso dalla commissione Giustizia, sul quale di qui a qualche ora arriverà il via libera dell’aula di Montecitorio, è una trincea piena di ostacoli per il condannato “non collaborante”. Lo ha ricordato ieri, in un’intervista al Dubbio, la deputata del Pd Enza Bruno Bossio, tra i pochi che, nell’esame in commissione, abbiano avuto il coraggio di difendere davvero i princìpi dettati dalla Consulta. Perché, va ricordato, la legge sull’ostativo è la conseguenza di una pronuncia, la numero 97 dello scorso anno, con cui la Corte costituzionale ha spiegato che non è legittimo considerare la collaborazione con la giustizia come la sola via a disposizione di un ergastolano condannato per reati ostativi che voglia accedere al più importante dei benefici, la liberazione condizionale.

Certo, il giudice delle leggi ha chiesto al Parlamento di eliminare il pregiudizio assoluto tuttora previsto, per chi non collabora, dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario senza però compromettere la sicurezza collettiva. Ma nel testo si legge la volontà di alzare vere e proprie barricate sul ritorno alla libertà del detenuto di mafia. È da lui, da chi è stato per trent’anni recluso quasi sempre in regime di 41 bis, che si pretendono prove in grado di escludere residui collegamenti con l’organizzazione o il rischio che vengano ripristinati.

È vero d’altronde che, per la maggioranza attuale, un risultato diverso era di fatto impossibile. Si può legiferare se si è consapevoli che l’ossequio allo Stato di diritto verrebbe travisato un minuto dopo, dai pm antimafia e dal Fatto quotidiano, come un regalo alle cosche? Si può, ma è davvero molto difficile. E su quanto fosse difficile, ha offerto una testimonianza in fondo schietta Walter Verini, dirigente dem che ha esposto, due giorni fa in Aula, la posizione prevalente nel suo partito. Ha esordito così: «Diciamo subito che il testo è il frutto di un lavoro importante e impegnativo e per niente semplice».

Non può passare inosservato che ad Enza Bruno Bossio si sia data la possibilità di proporre una “relazione di minoranza”, in parallelo con l’intervento di Verini. Segno della prova non facile che il partito oggi di maggioranza relativa nel Paese si è trovato ad affrontare. «Il lavoro svolto raggiunge una sintesi, con un testo perfettibile certamente, ma in grado di tenere insieme i due princìpi segnalati dalla Corte costituzionale», ha detto Verini. Che non ha taciuto delle sollecitazioni arrivate alla commissione affinché adottasse un impianto davvero garantista: «Le opinioni del professor Ruotolo, di Patrizio Gonnella di Antigone, del presidente Anm Santalucia, del proferssor Anastasia: alcune di queste personalità sono, secondo noi, punti di riferimento di grande spessore nel dibattito giuridico- costituzionale e in quello legato all’ordinamento penitenziario», ha chiarito il deputato dem. Che ha aggiunto: «Sono critiche e questioni che meritano ascolto, anche se alcune, forse, viziate da una certa unilateralità. Ma probabilmente è giusto, perché analoga unilateralità può essere stata espressa da altre personalità con opinioni diverse e magari opposte».

Verini insomma ha reso l’idea della tenaglia in cui si sono trovati i deputati: da una parte la tesi di chi ha ben presenti gli insulti alla Costituzione consumati nel sistema e nell’ordinamento penitenziario, dall’altra gli irriducibili che vedono nello Stato di diritto un vile cedimento. Si poteva e doveva arrivare in Aula con una legge migliore di questa. Ma quanto avvenuto spiega benissimo come l’insinuazione dell’accusa di collaborazionismo in qualsiasi lampo garantista delle leggi antimafia sia ancora oggi uno dei più formidabili e violenti ricatti a cui si è costretti ad assistere nella politica giudiziaria.