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CARCERE DI BOLLATE
Il giovane tunisino ha scelto la notte per farla finita. Era stato trasferito poche ore prima nella cella d’isolamento numero 4 del terzo reparto del carcere di Barcellona Pozzo di Gotto (Me), come misura punitiva dopo atti di autolesionismo e danneggiamenti insieme a due compagni. Intorno all’una di venerdì notte, il personale di servizio lo ha trovato senza vita: un lenzuolo annodato all’inferriata della finestra gli ha tolto ogni respiro. Aveva poco più di vent’anni, né le cure mediche ricevute in infermeria né la compagnia di altri detenuti nella stessa cella avevano evitato il gesto estremo.
Dietro a questa tragedia, però, non c’è un caso isolato. Nel 2024 sono stati 90 i suicidi nelle carceri italiane, il dato più alto da trent’anni a questa parte e superiore a quello record del 2022, quando se ne contarono 84. Ristretti Orizzonti, il giornale del carcere di Padova e di Venezia che dal 1992 monitora il fenomeno, segnala un tasso di 14,7 suicidi ogni 10.000 detenuti: venti volte superiore rispetto alla popolazione libera. Qui dentro la vita vale meno, la solitudine e l’ansia delle celle piene spingono al limite, e già nei primi cinque mesi del 2025 si contano 33 suicidi, quasi uno alla settimana.
«Il problema è estremamente complesso e non si risolve con gli slogan», ha detto il 15 aprile il ministro della Giustizia, CarloNordio, sostenendo che l’Italia «non è certo al primo posto tra i suicidi in carcere in Europa, anzi è verso gli ultimi». Ma i numeri raccontano un’altra storia. Secondo i dati del Consiglio d’Europa relativi al 2022, i suicidi assoluti in Italia erano il secondo numero più alto tra i 46 Paesi del Consiglio, superati solo dalla Francia, e il tasso – 15 ogni 10.000 detenuti – posiziona il nostro Paese stabilmente tra i primi cinque della Ue. Venticinque Stati comunitari hanno cifre più basse. Anche il confronto su periodi più lunghi smonta la narrazione ministeriale. La rivista The Lancet Psychiatry, in uno studio pubblicato nel 2024, conferma che l’Italia non rientra affatto tra i Paesi con meno suicidi in carcere, calcolando rapporti costantemente superiori a quelli di molte democrazie occidentali.
Di fronte a questi numeri, Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino non nasconde l’indignazione: «Con questo giovane tunisino siamo già a 33 suicidi nei primi cinque mesi dell’anno, 75 morti “per altre cause”, per un totale di 108 decessi “per pena” – ricorda –. Il ragazzo era stato spostato dalla Puglia alla Sicilia per sovraffollamento. Ecco perché è urgente approvare la proposta di legge sulla liberazione anticipata speciale, presentata nel 2022 da Roberto Giachetti e ora appoggiata dal presidente del Senato Ignazio La Russa».
Eppure questo governo, come già notiziato ai tempi, ha puntato soprattutto sull’edilizia. Il piano da 32 milioni di euro del ministero – affidato a Invitalia – prevede l’installazione di 16 moduli prefabbricati, le cosiddette «celle container», nei cortili di nove istituti, per aggiungere appena 384 posti letto: una goccia nel mare del sovraffollamento. Il costo? 83.333 euro a posto, quanto un piccolo appartamento di provincia. Spazi ridotti (6×5 metri per 24 detenuti), servizi minimi, una palestra e biblioteca improvvisate: una soluzione tampone che ignora salute mentale, personale e percorsi di reinserimento. Sul fronte della pena, il governo non ha lesinato nuove norme repressive. Dal decreto Sicurezza al decreto Caivano, fino al disegno di legge n. 1660, sono stati introdotti decine di nuovi reati e aumenti di pena: dal “reato di rivolta penitenziaria”, punito con fino a 8 anni di carcere per ogni forma di resistenza (anche passiva), al divieto di manifestazione in strada con rischio per la sicurezza pubblica, passando per norme contro i rave party e norme che aumenta i giorni di contenzione nei Cpt dei migranti senza permesso di soggiorno. Risultato? Più persone in cella, in condizioni sempre più critiche, senza un piano serio di assistenza psicologica o alternative alla detenzione.
Mentre le cifre continuano a crescere, rimane la sensazione di un’emergenza gestita a colpi di container e reati, senza mai affrontare davvero le cause profonde: il sovraffollamento, la mancanza di operatori, l’assenza di percorsi di recupero. In questo contesto, ogni vita persa è un fallimento collettivo. La riforma delle carceri non può risolversi con moduli prefabbricati o nuovi articoli di legge: servono visione, riforme radicali, risorse umane e volontà politica, prima che il prossimo giovane trovato impiccato diventi solo un altro numero.