È inammissibile il ricorso presentato da Piercamillo Davigo dinanzi al Tar del Lazio contro la sua decadenza da togato del Csm: i giudici amministrativi, che hanno dichiarato il loro «difetto di giurisdizione», indicando dunque la competenza del «giudice ordinario, dinanzi al quale la domanda potrà essere riproposta». Lo si legge nella sentenza breve appena depositata dalla prima sezione del Tar del Lazio. Secondo il collegio, i poteri esercitati dal Consiglio Superiore della Magistratura nei confronti di Davigo «non possono definirsi di natura autoritativa ma devono ricondursi nell’ambito delle attività di verifica amministrativa della sussistenza dei requisiti necessari per il mantenimento della carica, ivi compresi quei requisiti che costituiscono un prius logico del diritto di elettorato passivo». Il Csm ha affermato che, a seguito del collocamento a riposo, Davigo, in quanto componente togato dell’organo, non sarebbe più possesso di un (pre)requisito necessario per mantenere la carica. L’attività di verifica del Consiglio si è basata su una interpretazione del panorama legislativo e dei principi da esso ricavabili, la cui correttezza è contestata dall'ex pm di Mani Pulite. Secondo i giudici, il caso in questione non riguarda una delle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: «la situazione giuridica di cui si chiede la tutela ha la consistenza, nonostante la veste provvedimentale assunta dalla delibera del Csm impugnata, di diritto soggettivo» e per tale motivo la relativa cognizione deve essere riconosciuta al giudice ordinario. Nel suo ricorso, Davigo aveva censurato il provvedimento anche in relazione alla qualificazione del Csm come “organo di autogoverno” anziché di garanzia, nonché il richiamo operato al concetto della “rappresentanza democratica”, deducendo l’assenza di un collegamento necessario tra lo status di magistrato in servizio e il mandato consiliare. L’appartenenza all’ordine giudiziario, secondo Davigo, costituirebbe «la condizione richiesta esclusivamente per la presentazione di una candidatura ma non anche per il mantenimento della carica», sostenendo anche l’irrilevanza del richiamo, pure presente negli atti impugnati, «al concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali, dato che ordinariamente tutti i membri elettivi del Csm provenienti dalla magistratura non svolgono nel corso del mandato tali funzioni, per dedicarsi esclusivamente all’incarico presso il Csm». Per l'ex pm, infine, non sarebbe influente «il richiamo alla prassi relativa al funzionamento dei Consigli giudiziari».