In gioco ci sono diversi articoli della Costituzione: secondo la Suprema corte, non è manifestamente infondata la questione di illegittimità della “spazza corrotti”. Il nodo relativo all’ultima legge anticorruzione pare arrivato al pettine, in particolare rispetto alle violazioni prodotte dalle nuove norme che impediscono ai condannati per reati contro la Pa di chiedere l’accesso alle misure alternative prima di mettere fisicamente piede in cella.

La strettoia passa dunque per una sentenza della Cassazione segnalata nei giorni scorsi dal Sole- 24 Ore: la numero 12541 del 20 marzo. Riguarda la vicenda di un ex dirigente dell’Asl Roma 1, Maurizio Ferraresi, che presiedeva la Commissione medico- legale per il rilascio dell’idoneità alla guida dei veicoli. Nella fase preliminare del procedimento aveva optato per il patteggiamento, in base a una logica semplice semplice: l’entità della sanzione concordata con i pm ( 2 anni, 9 mesi e dieci giorni di reclusione) gli avrebbe senz’altro consentito di evitare il cosiddetto “assaggio di pena”, ossia l’ingresso fisico nella cella di un penitenziario.

Tutto bene, tranne un ulteriore elemento sanzionatorio inserito dal gip del Tribunale capitolino: una riparazione pecuniaria da 330mila euro. Solo in riferimento a tale specifico aspetto della condanna, Ferraresi aveva proposto ricorso in Cassazione. Ma lo aveva fatto diversi mesi fa: la sentenza del gip è di fine giugno. A pochi giorni dall’udienza sul ricorso, lo scorso 31 gennaio, entra però in vigore la spazzacorrotti. Che travolge letteralmente le aspettative dell’imputato e dei suoi difensori: non si tratta più solo di discutere della riparazione pecuniaria, perché in virtù dell’articolo 6 dell’ultima riforma anticorruzione, Ferraresi non può più avvalersi dell’esecuzione sospesa per presentare, nei 30 giorni, l’istanza di misure alternative al carcere. Aggiunge dunque al ricorso già incardinato davanti alla Suprema corte anche il motivo della “illegittima retroattività” della spazzacorrotti. E seppur formalmente respinta, la sua tesi è idealmente condivisa dalla sesta sezione, nel senso che gli stessi supremi giudici la ritengono non manifestamente infondata, ma da porre in un eventuale successivo incidente di esecuzione.

«La prospettazione difensiva secondo la quale l'avere il legislatore cambiato in itinere le “carte in tavola” senza prevedere alcuna norma transitoria», secondo la Cassazione, può effettivamente presentare «tratti di dubbia conformità con l’art. 7 della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo là dove si traduce, per il Ferraresi, nel passaggio - “a sorpresa” e dunque non prevedibile - da una sanzione patteggiata “senza assaggio di pena” ad una sanzione con necessaria incarcerazione» . Valutazione importantissima, anche se non è la Cassazione, spiega il giudice estensore, Alessandra Bassi, a poterne far valere l’efficacia: «La questione di incostituzionalità prospettata afferisce non alla sentenza di patteggiamento oggetto del presente ricorso, ma all’esecuzione della pena applicata con la stessa sentenza, dunque ad uno snodo processuale diverso nonché logicamente e temporalmente successivo». Vuol dire che Ferraresi finirà per dover mettere fisicamente piede in carcere, ma una volta che ciò sarà avvenuto potrà attivare l’incidente di esecuzione e, in tale fase, porre appunto la questione di illegittimità.

«La scelta operata dalla sesta sezione è molto importante», spiega al Dubbio il professore dell’università di Bologna Vittorio Manes, uno dei primi studiosi a denunciare sul piano scientifico l’incostituzionalità dell’estensione dell’articolo 4 bis ai reati di corruzione. «Nella sentenza depositata lo scorso 20 marzo, la sesta sezione avrebbe potuto limitarsi a dichiarare impregiudicata la fondatezza o meno della questione di costituzionalità posta dall’imputato», osserva Manes, «e invece ha scelto di esprimersi sulla non manifesta infondatezza di tale questione».

Si finirà alla Consulta, con ogni probabilità e, anche se fra un anno, potrà essere definitivamente sancita l’illegittimità delle norme retroattive introdotte dalla riforma. È probabile anche tenuto conto che, dopo Manes, altri autorevoli studiosi si sono espressi nella medesima direzione e, in alcuni casi, sulla stesa rivista, Diritto penale contemporaneo: da Domenico Pulitanò a Luca Masera e, ultimo in ordine di tempo, Gian Luigi Gatta. Processual- penalisti la cui statura è ben nota anche al presidente della Repubblica Mattarella. Resta il rammarico per un provvedimento chiaramente incostituzionale che continuerà però a produrre i suoi danni per almeno un altro anno.