La fotografia che emerge dal nuovo rapporto analitico del Garante nazionale sulle carceri al 30 maggio 2025 non lascia spazio a edulcorazioni: il sistema penitenziario italiano naviga in acque agitate, stretto dalla morsa del sovraffollamento e da una serie di eventi critici che fotografano la fragilità delle strutture e delle persone ristrette.

In primo luogo, i numeri disegnano un quadro chiaro: 62.722 persone detenute risultano presenti negli archivi del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, a fronte di una capienza regolamentare di 51.285 posti e di soli 46.706 posti effettivamente disponibili perché più di 4.500 posti sono temporaneamente inagibili (per esempio, a Milano San Vittore intere sezioni non sono utilizzabili). Tradotto in percentuale, l'indice di affollamento – calcolato sul rapporto tra detenuti presenti e posti regolarmente disponibili – è al 134,29%, mentre quello rapportato alla capienza regolamentare è al 122,27%.

Il sovraffollamento non è un'emergenza passeggera ma una costante sin dal 2012, quando l'Italia fu condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo con la sentenza Torreggiani; dopo una flessione durante la pandemia, il numero dei detenuti è tornato a salire fino ai livelli attuali, con un aumento di 10.499 presenze dal dicembre 2020 al maggio 2025. L'anno più segnato fu il 2023, con quasi 4.000 ingressi netti: un'onda che non ha ancora trovato argini.

A livello regionale la situazione è tutt'altro che omogenea: in Puglia l'indice è al 170,72%, in Lombardia al 153,28%, in Molise al 153,20% e in Friuli Venezia Giulia al 152,53%. Solo Valle d'Aosta, Trentino Alto Adige e Sardegna restano sotto la soglia regolamentare, rispettivamente con indici al 76,44%, 97,06% e 97,95%. Non è un caso se il rapporto sottolinea come le inagibilità di alcuni reparti – tra cui Milano San Vittore, con un affollamento del 208,9% – comportano un aggravio per tutto il sistema e minino la possibilità di trasferimenti omogenei sul territorio, che dovrebbero invece preservare i legami familiari dei beni. Nelle prime dieci carceri più sovraffollate spiccano Lucca (236,84%), Foggia (218,06%), Milano San Vittore (208,90%), Brescia Canton Monbello (202,75%) e Lodi (193,18%). Il fatto che 157 istituti su 189 (l'83%) superino il limite consentito e ben 63 (il 33%) hanno un affollamento pari o superiore al 150% è un segnale di allarme: non si tratta più di criticità isolata ma di una condizione sistemica che tocca province e regioni diverse.

Alle camere inagibili si aggiunge la carenza di personale. Il Garante segnala un divario significativo tra organico previsto e impiegato: nel Lazio mancano 626 agenti, in Emilia Romagna 180, in Lombardia 408, in Toscana 170 e così via, con punte critiche in tutte le regioni maggiori. L’assenza di agenti di polizia penitenziaria e di figure amministrative e pedagogiche aggrava il clima già saturo di tensioni, come ribadito dal report sui suicidi e sugli spazi detentivi. Gli eventi critici non mancano. Tra il 1° gennaio e il 30 maggio 2025 si contano 5.015 atti di autolesionismo e 768 tentativi di suicidio (rispetto ai 5.193 autolesionismi e 829 tentativi nello stesso periodo del 2024, con un lieve calo nei suicidi tentati ma senza una vera inversione di tendenza). I numeri diventano ancora più allarmanti se si considera che i decessi per suicidio non sono inclusi in questo report ma in un documento specifico, il “Decessi in carcere”. Nel frattempo, queste cifre di autolesionismo e tentativi di suicidio fotografano un disagio che trova nelle celle affollate e nella carenza di supporto psicologico un terreno fertile.

Il Garante sottolinea come la crescita delle situazioni di autolesionismo e l’invio urgente in ospedale (5.971 casi nel primo trimestre 2025, a fronte di 6.133 nel 2024) siano segnali inequivocabili di una tensione costante che si traduce in sofferenza psichica. Le aggressioni tra detenuti (1.976 colluttazioni nel periodo gennaio-maggio 2025) e quelle al personale di polizia penitenziaria (938 episodi nel 2024) sono altri indicatori di un clima esplosivo, dove l’assenza di spazi adeguati e la dimensione collettiva esasperata provocano continue esplosioni di violenza.

Il quadro sociale della popolazione detenuta conferma le criticità: la mediana dell’età è 42 anni, con una percentuale significativa di disoccupati (modalità lavorativa al 7,93%) e un terzo dei detenuti stranieri (31,56% del totale) che spesso non hanno reti familiari sul territorio ‒ un elemento che rende ancor più difficili i percorsi di sostegno e reinserimento. A livello di possibili soluzioni, il report richiama l’urgenza di un rafforzamento delle misure alternative alla detenzione: il dato sulla durata delle pene conferma che circa 23.995 persone hanno un residuo di pena fino a tre anni, e di queste circa 20.000 potrebbero beneficiare di misure alternative (escludendo i casi relativi all’art. 4 bis, i reati ostativi). Rafforzare il ricorso agli affidamenti in prova, alle misure di giustizia riparativa e ai percorsi di reinserimento sociale costituirebbe una leva concreta per alleggerire le mura e restituire dignità.

Non bastano tavoli tecnici e linee guida: il Garante segnala la necessità di investire su strutture nuove o ristrutturate, di superare la logica emergenziale e di cercare interventi mirati per regione e istituto, tutelando al contempo il legame con i familiari, perché la prossimità è antitesi all'alienazione. Solo così si potrà cominciare a spezzare il meccanismo perverso per cui le misure cautelari si trasformano in archi temporali di attesa infinita senza alcuna prospettiva riabilitativa, alimentando sovraffollamento e disagio psichico. La fotografia del 30 maggio 2025 consegna un penitenziario che regge ancora in piedi su equilibri fragili: un sistema saturo, corpo unico di problemi trasversali che non si risolvono con soluzioni tampone. Se a questo si aggiunge la crescente ondata di tentativi di suicidio e di eventi di autolesionismo, l'urgenza di un'inversione di rotta diventa nitida. Non c'è più spazio per rinvii: è tempo di cambiare passo, dentro e fuori le mura.

A tal proposito, ieri il nostro giornale Il Dubbio ha aperto la pagina con l'intervista di Mauro Bazzucchi al presidente del Senato, Ignazio La Russa, che in queste settimane è tornato a chiedere provvedimenti urgenti per “restituire dignità” a chi sconta la pena dietro le sbarre. «La certezza della pena rimane un punto fermo», afferma il presidente. «Chi sbaglia deve pagare, ma non ho mai apprezzato gli indulti o le amnistie generiche. Il tema è un altro: devono cambiare le condizioni di vita dentro le mura». Nel raccontare il lungo trascorso da avvocato, La Russa sottolinea come le misure deflative, ossia un aumento temporaneo degli sconti di pena per i reclusi con una condotta impeccabile, non vadano lette come un “regalo” ai detenuti, ma come un modo per alleggerire subito la pressione sulle carceri.

L'interlocuzione con il deputato di Italia Viva, Roberto Giachetti, e con Rita Bernardini di Nessuno tocchi Caino ha contribuito ad accelerare la riflessione di molti: «Se le celle restano affollate come ha denunciato più volte il Garante, tutte le attività – dalla palestra alle aule scolastiche, passando per i laboratori – diventano fasulle: sei persone in uno spazio pensato per due o tre, e ogni sforzo educativo finisce nel vuoto». Non c'è fronzolo nelle sue parole: un invito rivolto a chi dovrà votare in Aula, ma anche a chi governa in silenzio, affinché non resti tutto su carta. Inchiostro che si mescola al sudore di chi vive la condizione carceraria: la proposta deflattiva può far storcere il naso a una parte consistente della maggioranza parlamentare e al Movimento Cinque Stelle, ma ogni detenuto che può fare a meno del carcere è una conquista di civiltà. E, proprio per usare le parole della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, bisogna anteporre gli interessi di partito a quelli del Paese.