PHOTO
processo a vita
Il tema della ragionevole durata del processo è oggetto di due importanti precetti sovraordinati: l’art. 111, comma 2, Costituzione secondo cui la «La legge assicura la ragionevole durata » e l’art. 6, par. 1, Cedu in base al quale «Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un Tribunale indipendente e imparziale costituito per legge». Inoltre secondo la Legge Pinto il termine di durata ragionevole del processo si considera rispettato se il processo non eccede la durata di: tre anni in primo grado, due anni in secondo grado, un anno nel giudizio di legittimità. O comunque se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni. Eppure nel nostro Paese esistono diverse storie di persone che per veder concluso l’iter giudiziario che le coinvolgeva hanno dovuto aspettare anni ed anni, trasformandole in dei veri e propri “sequestrati dalla giustizia”. Tanto è vero che la Corte europea dei Diritti dell’Uomo si è ripetutamente pronunciata nei confronti dell’Italia sul rispetto del diritto alla ragionevole durata del processo. Una delle più note e recenti sentenze riguarda la “Causa Verrascina e altri c. Italia” del 28 aprile di quest’anno. Il signor Antonio Verrascina è stato sottoposto a giudizio per 18 anni e 8 mesi. L’inizio del procedimento fu al Tribunale di Modena nel 1997. Si concluse in Cassazione nel luglio 2017. La sua causa era stata riunita ad altre: pensate che per il signor Salvatore Giardina primo grado e appello sono durati 24 anni e 2 mesi. Il processo era iniziato al Tribunale di Mistretta nel 1991 e si era concluso alla Corte di Appello di Messina nel maggio 2016. Ma di casi ce ne sono molti altri, pur senza essere arrivati all’attenzione della Cedu. A gennaio di quest’anno la Corte d'Appello di Catania ha assolto l'ex presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, dalle accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione elettorale. Alla lettura della sentenza l'ex Fondatore e leader del Movimento per le Autonomie si era detto «molto felice e sollevato per l'assoluzione. Sono stati 12 anni da incubo, la sentenza mi ripaga di tante sofferenze. La mia è una vicenda umana e giudiziaria incredibile». Per uno dei politici più influenti della Sicilia è stata una vera e propria odissea giudiziaria: una condanna, un'assoluzione, un annullamento dell'assoluzione con rinvio. Tre sentenze, tutte diverse l'una dall'altra. E quest’anno la quarta sentenza: ancora una assoluzione. Nel dicembre 2020 la Corte di Cassazione aveva confermato l'assoluzione dell'ex ministro Calogero Mannino nel processo stralcio sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. L'uomo era accusato di violenza o minaccia a Corpo politico dello Stato. L’indagine era partita nel 2012. Nel 2015 viene assolto, sentenza confermata in appello. Nonostante una “doppia assolutoria” i procuratori generale di Palermo andarono in Cassazione, la quale diede loro torto. L’uomo per 8 anni è stato prigioniero di una accanita (in)giustizia. Come non dimenticare il calvario di Pierdomenico Garrone, ex presidente di Enoteca del Piemonte e di Enoteca d’Italia, la cui vita è rimasta sospesa per 16 anni. Lo scorso anno si è visto confermare l’assoluzione già rimediata in primo grado quattro anni prima. Un processo e un’inchiesta lunghissimi, senza esser mai stato sentito dai pm che lo accusavano di aver fatto carte false sfruttando il suo ruolo. Tutto era partito nel 2005 con un blitz della Guardia di Finanza nelle sue proprietà. Da quel momento la sua vita cambiò radicalmente, a partire dalle dimissioni da presidente di Enoteca Piemonte ed Enoteca d’Italia. Invece Rocco Femia, di professione professore, ex sindaco di Marina di Gioiosa, è rimasto ostaggio della giustizia per 11 anni. Undici anni trascorsi tra carceri e tribunali. Ma era innocente, non faceva parte di una cosca di ‘ndrangheta. Lo ha definitivamente deciso quest’anno la Cassazione. «Sono passati 11 anni per avere giustizia, anni in cui ho gridato la mia innocenza, dopo una vita distrutta, una famiglia che ha sofferto come non auguro a nessuno e una comunità che ha dovuto subire tutto questo. Ho dovuto aspettare tanto per vedere nei fatti che ciò che dicevo era vero. Erano gli altri, quelli che rappresentavano la giustizia, ad infangarmi. Ma c’è sempre un giudice a Berlino» aveva detto alla collega Simona Musco. Ma poi c’è la storia di Ciccio Addeo, riportata alla luce dalla nostra firma Alessandro Barbano ma in questo caso sull’Huffington post: «La mattina del 23 marzo 2001, in cui entrò a Poggioreale, era ancora un luminare all’apice della sua carriera. Cinquantotto anni, capo del Cnr di Avellino, ordinario di agraria alla Federico II, presidente del consorzio per la mozzarella di bufala, direttore di centri di ricerca sperimentale a Lodi e in Corsica, Addeo era considerato uno de massimi esperti in Europa in materia lattiero-casearia». Le accuse? Associazione per delinquere, falso in atto pubblico, truffa aggravata. Il chimico veniva accusato di aver falsamente garantito la genuinità del burro sofisticato, che dall’Italia si immetteva nel mercato francese. Rimase in carcere quattro mesi, altri quattro ai domiciliari. Dopo sette anni la sentenza di primo grado che lo assolse da quasi tutti i reati. Rinunciò alla prescrizione, altri sette anni per la sentenza di secondo grado, che ricopiò integralmente quella del primo, e altri due per quella di Cassazione, che annullò i due giudizi, “dimostrando il gravissimo travisamento delle prove di cui si erano macchiati, rinviando gli atti alla Corte d’appello per un definitivo pronunciamento di assoluzione”. Che arrivò a febbraio 2021, a venti anni esatti di distanza dall’inizio della vicenda. Un’altra storia drammatica è quella che vi abbiamo raccontato qualche giorno fa e che riguarda Vincenzo Nespoli, ex sindaco di Afragola e senatore del Pdl dal 2008 al 2013. Ad inizio ottobre la Cassazione ha annullato con rinvio per la seconda volta la sentenza di condanna della Corte d’Appello di Napoli nei confronti dell’ex sindaco, accusato di bancarotta in relazione al fallimento di una società di vigilanza di Afragola. Processo da rifare, dunque, mentre la carriera politica di Nespoli, nel frattempo, è naufragata. «Un processo di 15 anni confisca il bene più importante per un uomo, la progettualità - ha commentato il suo avvocato Vittorio Manes -. Travolge destini politici, fortune imprenditoriali, rapporti familiari e sociali». Prima assolto, poi condannato, poi un nuovo processo d’appello con condanna e infine l’assoluzione in Cassazione. Si è concluso quest’anno un incubo per un pensionato residente nella Bassa Reggiana, accusato oltre 11 anni fa di violenza sessuale per presunte molestie alla nipotina, che all’epoca aveva 7-8 anni. L’anziano aveva scontato anche dei periodi in carcere e agli arresti domiciliari. Sempre quest’anno e sempre dopo 11 anni l'ex sindaco di Pagani, Alberico Gambino, è stato assolto pienamente nel processo "Criniera", il cui impianto accusatorio si fondava su intrecci tra imprenditori, classe politica - l'amministrazione retta dall'allora sindaco - e il clan a Pagani. «Credo che vada fatta una riflessione precisa, visto questo processo così lungo e due anni - tra domiciliari e carcere - di custodia cautelare, quando Gambino non era responsabile di niente. La necessità di un'indagine è una necessità istituzionale, però la vita di un politico è stata fortemente danneggiata e certe verità obbligano dopo 11 anni una persona a urlare al mondo la propria innocenza», aveva detto il suo legale Giovanni Annunziata. Invece ci sono voluti 9 anni per vedere confermata in appello l’assoluzione di primo grado per l’ex ministro delle politiche agricole Nunzia De Girolamo e per altri cinque imputati. L'ipotesi accusatoria era quella di concussione, consumata e tentata, nell’ambito di una inchiesta partita nel 2013 e relativa all'esistenza di quello che gli inquirenti all'epoca definirono "un direttorio politico-partitico"che avrebbe influenzato la gestione dell'Asl sannita. Un mese fa un cinquantenne è stato assolto dopo 10 anni e quattro gradi di giudizio dalla Corte di appello di Perugia “perché il fatto non sussiste” dalla pesantissima accusa di aver violentato le figlie. A questi casi possiamo aggiungere altri ancora più sconvolgenti, ossia quando la giustizia arriva dopo la revisione del processo. Ricordate Hashi Omar Hassan, condannato e poi assolto per l'omicidio Alpi – Hrovatin e ucciso da una bomba lo scorso luglio a Mogadiscio? Hassan fu assolto in primo grado, condannato in secondo grado e in Cassazione per aver fatto parte del commando che uccise i giornalisti italiani, ma un successivo ricorso portò all'assoluzione dopo oltre 16 anni di reclusione. Lo Stato Italiano lo ha risarcito con 3 milioni. E cosa vogliamo dire nel caso di Angelo Massaro? Ha trascorso in carcere da innocente 21 dei suoi 54 anni, dal 1996 al 2017, accusato dell’omicidio del suo miglior amico. Tutto a causa di un’intercettazione telefonica trascritta male e interpretata peggio. Ma a battere ogni record Giuseppe Gulotta che ha trascorso 22 anni, ossia 8030 giorni, in carcere da innocente. Il suo è forse il più grande errore giudiziario della storia italiana.