Condannato all’ergastolo, ma non a rinunciare del tutto alla propria sessualità, per quanto in maniera effimera. A stabilirlo è il Tribunale di Sorveglianza di Roma, che ha accolto il ricorso presentato da un detenuto al carcere duro, condannato per reati di criminalità organizzata, al quale era stato negato il diritto di abbonarsi ad una rivista a luci rosse. Una decisione contro la quale il Dap, come riportato nei giorni scorsi da “Il Tempo”, ha presentato ricorso per Cassazione, ma che in attesa di una pronuncia definitiva introduce il principio di un diritto alla sessualità, anche per chi si trova in regime a diritti limitati. «La sessualità è “uno degli essenziali modi di espressione della persona umana” e “il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’articolo 2 della Costituzione impone di garantire», si legge nella sentenza. Ed è per questo motivo che anche se si trova al 41 bis un detenuto ha diritto a ricevere riviste pornografiche. La richiesta avanzata dall’avvocato Lorenzo Tardella era stata rigettata con una prima ordinanza del 30 settembre 2019 dal magistrato di sorveglianza, rigetto contro il quale è stato presentato ricorso davanti al Tribunale di Sorveglianza. La direzione del carcere si era infatti opposta all’acquisto di riviste per adulti, incontrando parere favorevole da parte del magistrato di sorveglianza, secondo cui non si sarebbe trattato di un diritto, ma di «un mero interesse alla visione delle immagini ritenuta non essenziale per l'equilibrio psico-fisico nella sfera sessuale della persona, condividendo, inoltre, quanto esposto dall’autorità penitenziaria in merito alla possibilità di veicolare, attraverso le riviste erotiche, messaggi ed annunci criptici provenienti dall’esterno». Una motivazione censurata dalla difesa, che paventava «la lesione del diritto alla salute del detenuto in relazione alla limitazione della possibilità di vivere appieno - ancorché in modo effimero - la propria sessualità all'infuori di restrizioni non giustificabili a cagione della sottoposizione al particolare detentivo differenziato». Di fronte a tali argomenti, la direzione del carcere aveva replicato lamentando, da un lato, la difficoltà a trovare in edicola giornali pornografici, spazzati via dall’avvento di internet, ma, soprattutto, la possibilità che all’interno delle riviste possano essere contenuti messaggi criptici veicolati dall’esterno, pregiudizievoli, dunque, per l'ordine e la sicurezza pubblica. Pericolo contro il quale la difesa ha proposto di eliminare ogni parte scritta, consegnando al detenuto le sole immagini. Per il Tribunale di Sorveglianza il reclamo è fondato: la disciplina del 41 bis, infatti, non può essere né “allentata” né resa ulteriormente restrittiva, salvo nei casi di assoluta incompatibilità della norma di volta in volta considerata «con i contenuti normativi tipici del regime differenziato». E come evidenziato dalla Corte costituzionale con la sentenza 186 del 2018, è «possibile sospendere solo l'applicazione di regole ed istituti dell'ordinamento penitenziario che risultino in concreto contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza» e «non potersi disporre misure che, a causa del loro contenuto, a quelle concrete esigenze non siano riconducibili perché risulterebbero palesemente inidonee o incongrue rispetto alle finalità del provvedimento che assegna il detenuto al regime differenziato». Senza il rispetto di tale principio di congruità, infatti, «le misure in questione non risponderebbero più al fine per il quale la legge consente che esse siano adottate, ma acquisterebbero un significato diverso, divenendo ingiustificate deroghe all'ordinario regime carcerario, con una portata puramente afflittiva non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale». La richiesta del detenuto, in questo caso, non è da ricondurre alla tutela del diritto all’informazione, ma alla tutela dell'affettività in carcere, per la quale più volte la Cedu ha riconosciuto il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare sancito dall'articolo 8 della Convenzione. La richiesta di acquistare riviste per soli uomini ha come fine, dunque, quello «di migliorare la vita sessuale del detenuto sottoposto al regime differenziato per il quale l’orizzonte espressivo della sfera sessuale si riduce ad una dimensione effimera e sublimata». Per il giudici, i diritti inviolabili dell’uomo, pur trovando una limitazione nella detenzione, non sono affatto annullati dalla stessa, in quanto «la dignità della persona è dalla Costituzione protetta attraverso “il bagaglio degli inviolabili diritti dell'uomo che anche il detenuto porta con sé lungo tutto il corso dell’esecuzione penale”». In tale cornice, «il rifiuto opposto dalla direzione dell'Istituto è illegittimo perché non supera il test di congruità e proporzionalità tra limitazione all’esercizio del diritto del detenuto e finalità della restrizione non cogliendosi - in assenza di una previsione di legge - alcun nesso logico e teleologico tra il contenimento del diritto alla sessualità del detenuto da esercitarsi acquistando e trattenendo la stampa (pubblicazione o rivista) di genere e la finalità di tutela dell’ordine interno e della sicurezza esterna ili base alla ratio dell'articolo 41bis».