«Siamo molto soddisfatti perché l'esito delle indagini conferma la correttezza della denuncia». Così Astolfo Di Amato, avvocato di Alma Shalabayeva, commenta la notizia - diffusa dal Corriere della Sera e da Repubblica - sulla chiusura delle indagini a carico di alti funzionari dello Stato per l'arresto e l'espulsione illegittima di Alma e Alua, rispettivamente moglie e figlia del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov. Ma il suo commento si limita alle notizie di stampa, perché il legale non ha ancora avuto modo di vedere "le carte" e non può mettere la mano sul fuoco riguardo alla conferma dei capi di accusa. «Le chiederò lunedì», dice Di Amato. Ma da quello che ha letto sembra che la strategia difensiva sia stata vincente: «Abbiamo elaborato la nostra denuncia sulla base di quegli stessi documenti che avevano fatto dire al ministro dell'Interno, Angelino Alfano, che era tutto regolare. Perché lui presentò una relazione in Parlamento con una serie di allegati, noi li abbiamo analizzati e abbiamo formulato il nostro esposto sulla base di quei documenti. Il ministro è stato smentito». E se confermata, la notizia sarebbe clamorosa, perché accusati a vario titolo di sequestro di persona, falso in atto pubblico, omissioni e abuso d'ufficio sarebbero: Renato Cortese, direttore del Servizio centrale operativo (all'epoca dei fatti capo della Squadra mobile di Roma), il questore di Rimini Maurizio Improta (ex capo dell'Ufficio Immigrazione) e il giudice di pace Stefania Lavore che avallò la consegna di madre e figlia al Kazakhstan. Insieme a loro rischiano di essere rinviati a giudizio dalla Procura di Perugia altri cinque poliziotti e tre diplomatici kazaki (non processabili). «Di questa vicenda preferirei non parlarne, chiedo la comprensione di capire», dice al Dubbio Renato Cortese che però conferma l'arrivo dell'avviso di conclusione indagini.I fatti.  La vicenda risale al 2013. Il 28 maggio la Polizia fa irruzione a casa Alma Shalabayeva. La donna vive a Roma in una villetta in zona Casal Palocco. Gli agenti cercano il marito: Mukhtar Ablyazov, dissidente kazako su cui pende un mandato di cattura internazionale emesso dalle autorità di Astana. In casa trovano solo la donna e la figlia di sei anni. Sono entrambe terrorizzate mentre le forze dell'ordine mettono sottosopra l'appartamento. Vogliono vedere i documenti. Alma consegna loro il passaporto rilasciato dalla Repubblica Centrafricana. Per gli agenti è falso. Dopo si scoprirà che il documento era regolare, intanto la rinchiudono al Cie di Ponte Galeria con l'accusa di immigrazione clandestina. Il 31 maggio, dopo un rapido procedimento, la Procura di Roma concede «il nulla osta all'espulsione». La moglie e la figlia del dissidente chiedono asilo politico ma nessuno le ascolta, in poco tempo vengono caricate su un aereo privato messo a disposizione dai kazaki e rimpatriate. Appena la notizia diventa di dominio pubblico, il 5 luglio, il ministro dell'Interno Angelino Alfano finisce nella bufera: deve presentarsi in Parlamento per difendersi dalle accuse di aver aiutato e coperto le autorità kazake, Movimento 5 Stelle e Sel chiedono le dimissioni. Il Viminale sostiene di non sapere che Shalabayeva fosse la moglie di un dissidente. Ma il "caso" provoca le dimissioni di di Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto del ministro dell'Interno, mentre Emma Bonino, titolare degli Esteri, è su tutte le furie e fa di tutto per riportare in Italia le due espulse. E dopo grandi pressioni le autorità kazake cedono nell'aprile del 2014: Shalabayeva e la bambina possono rientrare in Italia da rifugiate politiche.A certificare «manifesta illegittimità originaria» dell'estradizione arriva la Cassazione che accoglie il ricorso dei legali della donna e segnala parecchie anomalie nell'operato delle forze dell'ordine: «La contrazione dei tempi del rimpatrio e lo stato di detenzione e sostanziale isolamento dall'irruzione alla partenza, hanno determinato nella specie un irreparabile vulnus al diritto di richiedere asilo e di esercitare adeguatamente il diritto di difesa», sottolinea la Cassazione. «Peraltro il controllo della sussistenza di due titoli validi di soggiorno intestati ad Alma Shalabayeva sarebbe stata operazione non disagevole».Oggi è il turno della Procura di Perugia, secondo cui la Squadra mobile, su impulso delle autorità kazake, avrebbe tratto in inganno persino la Procura di Roma, inducendo il sostituto Eugenio Albamonte e il capo Giuseppe Pignatone a firmare il nulla osta per l'espulsione. Per l'accusa, Renato Cortese avrebbe agito di propria iniziativa. Resta ancora da capire il ruolo del Viminale in tutta questa vicenda.