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«La giustizia al tempo del Covid è un giudice che ti comunica venerdì che l’udienza di lunedì si terrà con trattazione scritta, senza rispettare il termine di cinque giorni per chiedere la trattazione orale e senza che tu abbia la possibilità di depositare alcunché a causa dell’ennesima interruzione dei servizi telematici». La denuncia arriva da Aldo Luchi, presidente dell’ordine degli avvocati di Cagliari, protagonista dell’ennesimo cortocircuito della giustizia in tempo d’emergenza. E ancora una volta il problema non sono le regole - che pure Luchi critica senza farne mistero -, ma la loro applicazione. La norma disattesa, in questo caso, è quella prevista dall’articolo 83 del dl Rilancio, sostituita poi dall’articolo 221 nella sua conversione in legge. Articolo che prevede la possibilità, per il giudice, di disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni.
Il punto dolente sono i termini, non rispettati nel caso di Luchi: il giudice deve infatti comunicare alle parti almeno trenta giorni prima della data fissata per l'udienza che la stessa è sostituita dallo scambio di note scritte, assegnando un termine fino a cinque giorni prima di tale data per il deposito delle stesse. Se nessuna delle parti effettua il deposito telematico di note scritte, il giudice fissa un'udienza successiva e nel caso in cui nessuna delle parti dovesse comparire il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo, dichiarando l'estinzione del processo «Nel mio caso - spiega Luchi al Dubbio -, il giudice ha emesso questo decreto venerdì 15, notificato alle 16.17, per un’udienza fissata lunedì 18. E ciò in presenza di un’interruzione dei servizi informatici che era stata già preannunciata dalla direzione generale dei sistemi informativi del ministero della Giustizia l’ 8 di gennaio». Ovvero una settimana prima che il giudice emettesse quel decreto. L’interruzione del servizio potrebbe essere bypassata, spiega Luchi, ma con una procedura «assurda», attraverso la pec, senza possibilità, dunque, di accedere automaticamente al fascicolo tramite la consolle del pct, con il rischio di moltiplicare gli errori.
Ma oltre questo, aggiunge, «il problema è che non avrei mai la prova dell’avvenuto deposito, perché il deposito telematico si considera valido nel momento in cui il sistema mi rilascia la terza pec, quella che certifica l’avvenuto controllo dei sistemi automatici, che verificano che la busta telematica che ho trasmesso rispetti tutti gli standard formali informatici del deposito». Luchi ha così depositato le proprie note alle 8.50 di lunedì mattina, ricevendo la terza pec alle 12.47, ovvero due ore e 17 minuti dopo l’udienza, fissata per le 10.30. «Questo vuol dire che non ho potuto depositare per tempo, perché il giudice non ha rispettato i termini della norma, senza darmi la possibilità di discussione orale, che pure era nelle mie facoltà richiedere», aggiunge. Dell’esito di quell’udienza, dunque, Luchi non ha notizie. Di certo, sottolinea, l’accettazione non tempestiva del deposito «non è un problema mio, ma del giudice».
Ma c’è un’altra cosa, spiega: la Dgsia non comunica ai consigli dell’ordine le interruzioni del servizio, condizione che non consente di avvisare gli avvocati di possibili disfunzioni del sistema, mentre tale comunicazione arriva tempestivamente agli uffici giudiziari, che dunque sono perfettamente informati dei casi di interruzione. «È sempre più evidente il fatto che ormai c’è una totale discrasia aggiunge Luchi -. Speravo che in questa situazione tutti quanti si sarebbero messi d’impegno per far funzionare - con mezzi e sistemi obiettivamente problematici, perché sono stati inventati su due piedi - un sistema che altrimenti non avrebbe retto. Invece mi rendo conto che non è così. Si pensi solo agli ostacoli che stanno frapponendo le cancellerie per farci accedere: per poter interloquire con gli uffici dobbiamo fare un salto ad ostacoli. La situazione è drammatica». Permangono, dunque, i problemi di rapporti tra cancellerie ed avvocati. Ma anche quello del pct, per il quale si evidenzia, come già in fase attuativa, nel 2014, «un’applicazione del tutto disomogenea sul territorio nazionale». E gli esempi non mancano: «La Dgsia, il 9 novembre, ha rilasciato un provvedimento che dava valore legale al deposito agli atti penali, fornendo un elenco di caselle pec appositamente attivate per tale procedura. Ebbene - conclude -, alcuni uffici si ostinano a richiedere il deposito su pec diverse da quelle indicate, con la conseguenza che quel deposito potrebbe essere considerato privo di valore legale da altri uffici. C’è un problema di norme, perché c’è una confusione notevole, un problema di strumenti, perché all’atto pratico non funzionano o funzionano non correttamente, ma in molti casi il vero problema è l’organizzazione dei singoli uffici».