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CARCERE DI BOLLATE DETENUTO
È stato presentato a Roma il XXI Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione in Italia, intitolato “Senza respiro”. Un titolo che non è una metafora, ma una fotografia lucida di un sistema penitenziario al collasso, dove detenuti, operatori e istituzioni sono sempre più in affanno.
Nel 2024 l’Osservatorio di Antigone ha visitato 95 istituti penitenziari per adulti e la maggior parte di quelli per minorenni, da Bolzano ad Agrigento. Ciò che è emerso è uno scenario drammatico: corpi ammassati in celle anguste, spazi inadeguati, tensioni continue e una sofferenza che tocca tutti gli attori del carcere. Al 30 aprile 2025 i detenuti in Italia erano 62.445, a fronte di una capienza regolamentare di 51.280 posti. Se però consideriamo i 4.500 posti non disponibili per inagibilità o lavori di ristrutturazione, il tasso reale di sovraffollamento schizza al 133%, con circa 16.000 persone senza un posto “vero”. Solo 36 carceri su 189 restano entro i limiti, mentre 58 hanno un tasso di affollamento superiore al 150%. Milano San Vittore guida la classifica nera col 220%, seguito da Foggia (212%) e Lucca (205%).
Sovraffollamento: oltre 5mila detenuti in più negli ultimi due anni
Negli ultimi due anni la popolazione detenuta è cresciuta di oltre 5mila unità, mentre la capienza effettiva è diminuita di 900 posti. Ogni sessanta giorni, in media, 300 persone entrano in più in carcere: vale a dire, l’equivalente di un nuovo istituto ogni due mesi. Un ritmo insostenibile per qualunque piano di edilizia penitenziaria, che rischia di trasformarsi in un pozzo senza fondo, con un costo di 30 milioni di euro per 300 posti. A soffrire di più sono i detenuti più fragili: tossicodipendenti, persone senza dimora, stranieri privi di assistenza legale, chi soffre di disturbi psichiatrici. Proprio queste categorie, spesso condannate a pene brevi, rappresentano la maggioranza di chi potrebbe accedere a misure alternative. E invece, tra i detenuti con condanna definitiva, il 51,2% ha meno di tre anni da scontare e più di 1.370 sono in carcere per pene inferiori a un anno.
Il sovraffollamento non risparmia neanche gli Istituti Penali per Minorenni. Per la prima volta superiamo i 600 ragazzi (611, di cui 27 ragazze), contro i 381 di fine 2022. Un’impennata spinta dal “decreto Caivano”, che ha aumentato del 65% i minorenni in custodia cautelare. Nove Ipm su 17 vivono ormai condizioni di sovraffollamento, con Milano Beccaria e Cagliari Quartucciu al 150%.
Decreto sicurezza: il nuovo reato di rivolta in carcere
Nel frattempo, l’attivismo punitivo del governo con il “decreto sicurezza” approvato ad aprile 2025 ha introdotto il nuovo reato di rivolta penitenziaria, punendo persino le proteste pacifiche con pene superiori a quelle previste per i maltrattamenti in famiglia e escludendo l’accesso alle misure alternative. Se solo nel 2024 si sono registrati 1.500 episodi di protesta non violenta (coinvolgendo almeno 6.000 detenuti), e ad ognuno di loro fosse applicata una pena media di quattro anni, il carico aggiuntivo supererebbe i 24mila anni di carcere.
Come spiega bene Pasquale Principe nel rapporto di Antigone, la norma entrata in vigore il 12 aprile 2025 col “decreto sicurezza” colpisce già chiunque, in tre o più persone, opponga resistenza — anche passiva — agli ordini degli agenti, trasformando il più piccolo gesto di disobbedienza in un reato di rivolta punibile con uno-cinque anni di carcere (e fino a otto per chi organizza o promuove). In poche parole: basta che tre compagni di cella, stremati dal sovraffollamento o da condizioni degradanti, decidano di non alzarsi al richiamo di un agente, e si ritroveranno sotto processo con il divieto di accedere a qualsiasi beneficio penitenziario. E questo non è un’ipotesi remota: tra il 12 e il 30 aprile si sono già registrati cinque episodi di protesta collettiva in altrettanti istituti, con circa ottanta detenuti coinvolti e un carico aggiuntivo stimato in quattrocento anni di detenzione da scontare. Un meccanismo che cancella ogni possibilità di mediazione e rende definitiva la sofferenza di chi, di fronte al muro di un sistema in frantumi, osa solo alzare la voce.
L’appello: clemenza per chi ha ancora meno di due anni di pena
Eppure, Antigone non si limita a denunciare il collasso: mette sul tavolo proposte pensate per dare un primo, effettivo sollievo. Immaginate un gesto di clemenza esteso a chi ha ancora meno di due anni di pena da scontare: non si tratterebbe di un’amnistia generica, ma di un atto calibrato che coinvolgerebbe oltre 17.000 persone, restituendo loro – e alle loro famiglie – un orizzonte di speranza. Allo stesso tempo, l’associazione chiede di riaprire con urgenza i Consigli di disciplina di tutti gli istituti: non più riunioni rituali e al rallentatore, ma sessioni straordinarie capaci di valutare in modo collettivo, tempestivo e umano richieste di grazia e misure alternative per chi ha residui di pena inferiori a un anno. Una forma piuttosto semplice da mettere in campo, che consentirebbe di alleggerire immediatamente il carico di migliaia di detenuti, alleggerendo anche la pressione sugli agenti e sugli spazi carcerari.
Infine, Antigone rivendica il divieto assoluto di nuove carcerazioni quando non esiste un posto regolamentare disponibile: un principio di buon senso che eviterebbe di trasformare ogni ingresso – anche per reati minori – in un ulteriore aggravio di un sistema già al limite. Tre mosse distinte, ma convergenti: un invito a riscrivere le regole non con l’ottica del muro o dell’emergenza, ma partendo dalla dignità di chi sta soffrendo, in attesa che lo Stato recuperi un respiro più ampio.
Durante la presentazione Patrizio Gonnella ha lanciato un appello a una “grande alleanza costituzionale” che coinvolga università, associazioni, professionisti e sindacati. «Il carcere non deve diventare una trincea di guerra – ha detto –. Chi usa toni guerrafondai commette un atto di insubordinazione alla Costituzione e rende la vita degli stessi poliziotti un inferno». Gonnella ha ricordato le parole di Papa Francesco per una pena “mite e mai disumana” e il suo monito contro i “mercanti della paura”: «Non è stato ascoltato in vita. Speriamo lo sia dopo la sua morte». In queste pagine, trattenendo il respiro, Antigone ci consegna la fotografia di un’implosione annunciata. Spetta ora al Paese decidere se continuare col linguaggio della guerra o ricostruire un senso comune di pena che tuteli la dignità di tutti.