La magistratura gioca in difesa. Stavolta non ce la si può prendere con le norme sull’estinzione dei reati. Non nel caso del processo per abusi su una minore dichiarato prescritto a Torino. Non avrebbe senso: il giudizio è andato avanti per vent’anni, decisamente troppi, e se non si è riusciti ad arrivare in tempo a una sentenza definitiva è per una grave mancanza degli uffici, non per l’inefficacia delle norme. Si trova dunque in imbarazzo l’Anm, che dichiara «sconcerto per il ritardo con cui è stato celebrato il giudizio di secondo grado» e parla di «inadeguata valutazione delle ineludibili priorità nella trattazione dei processi». Sarebbe colpa del presidente della Corte d’Appello: non dell’attuale, Arturo Soprano, che ha spiegato di aver fatto il possibile per spalmare l’arretrato sulle diverse sezioni, ma del suo predecessore. Ovvero proprio quel Mario Barbuto che invece si era rivelato esemplare nella definizione di buone prassi organizzative, al punto che il record di abbattimento dell’arretrato conseguito da presidente del Tribunale di Torino gli era valso la nomina a capo dell’Organizzazione giudiziaria di via Arenula.

Difficile capire con chi prendersela. Lo stabilirà l’ispezione ordinata dal ministro Andrea Orlando. A quanto pare ci sarà un affollamento, dalle parti del palazzo di giustizia torinese, visto che accertamenti paralleli saranno condotti anche dall’altro titolare dell’azione disciplinare, il pg della Cassazione Pasquale Ciccolo. E, tanto per completare il quadro, domani il comitato di presidenza del Csm ( di cui fa parte lo stesso Ciccolo) deciderà sulla richiesta avanzata dal laico Beppe Fanfani di aprire una pratica «per approfondire quanto accaduto». Sarà necessario come minimo mettere ordine, per evitare che le diverse verifiche si sovrappongano.

Il caso dimostra di sicuro come non siano necessariamente i tempi previsti dalla legge a far decadere i reati. Ma con l’imminente ritorno della riforma penale al Senato le tensioni saranno inevitabili. Il ddl più tormentato della legislatura, almeno nel settore giustizia, riappare in aula martedì della prossima settimana, il 28 febbraio. La terribile vicenda della bambina che sarebbe stata stuprata a 7 anni dal patrigno, e che oggi, donna di 27 anni, non vuole più sentirne parlae, non dovrebbe essere usata come pretesto. Il caso non giustificherebbe alcuna revisione al rialzo delle regole sulla prescrizione. Ma quelle norme restano la parte più scivolosa del provvedimento. Ed è lì che la maggioranza rischia. Non solo perché i cinquestelle non mancheranno di definire il compromesso sulla prescrizione un favore ai delinquenti, ma anche per le perplessità coltivate in materia da diversi senatori dell’ormai ex minoranza pd. È noto come Felice Casson sia intenzionato a dare voto contrario sugli articoli relativi alla prescrizione. Ma non è il suo singolo caso ad essere politicamente delicato. Si dovrà vedere come si comporterà il drappello di senatori pronti a confluire nel gruppo degli scissionisti. Dovrebbero essere almeno una dozzina: il loro voto sarà decisivo, considerato che a Palazzo Madama la maggioranza non può più contare sui verdiniani di Ala. L’esame del ddl penale sarà dunque anche un banco di prova per la linea sulla giustizia dei bersanian- dalemiani. Sarebbe sorprendente scoprire che l’ormai ex minoranza dem è su posizioni affini ai cinquestelle: certo il loro grado di garantismo andrà verificato. Anche perché tra i 10- 15 che a Palazzo Madama dovrebbero aderire alla scissione ci sono senatori molto schierati sulle posizioni dell’Anm, come la lombarda Lucrezia Ricchiuti.

Proprio l’Associazione magistrati si trova comunque spiazzata dalla vicenda di Torino. Ieri si è riunita la giunta esecutiva centrale del sindacato dei giudici, che ha diffuso una nota sospesa tra autocritica e accuse non del tutto esplicite. Si esprime appunto «sconcerto» per «la prescrizione di un grave reato per cui era intervenuta condanna in primo grado». E, «pur nella consapevolezza delle oggettive difficoltà in cui versano gli uffici giudiziari», si rimarca che «l’epilogo doloroso della vicenda denota una carenza organizzativa radicatasi negli anni». Spiazzante davvero visto che a presiedere la Corte d’Appello “colpevole” dell’estinzione del reato era stato proprio quel Mario Barbuto divenuto un modello negli anni trascorsi alla guida del Tribunale. Non è chiaro di chi sia la colpa. Di sicuro non delle norme sulla prescrizione.