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Vietato al detenuto in 41 bis di sostenere "Nessuno tocchi Caino" o il Partito Radicale attraverso una missiva indirizzata alla congiunta chiedendo di inviare 200 euro al proprio legale per l’iscrizione. La circostanza è stata ribadita - secondo quanto riporta l’Ansa - in un procedimento giudiziario, gestito dai tribunali del Piemonte, che riguarda Giuseppe Falsone, 48 anni, originario di Campobello di Licata, considerato dagli inquirenti uno dei capi di Cosa nostra nella provincia di Agrigento, arrestato a Marsiglia nel 2010. Falsone, rinchiuso a Novara, aveva chiesto a una congiunta di inviare 200 euro al proprio legale per l’iscrizione al Partito Radicale; «in realtà - si legge nelle carte del procedimento - era quasi certo che la somma fosse indirizzata a sostenere l’associazione “Nessuno tocchi Caino”, cosa che però è vietata da una circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria». Il magistrato di sorveglianza della città piemontese aveva autorizzato il trattenimento della missiva con una decisione confermata dal tribunale di Torino nel 2017 e resa definitiva il 5 Aprile scorso dalla Cassazione. Il 19 giugno scorso la sentenza è stata depositata. La decisione dei magistrati di sorveglianza piemontesi, confermata dalla Suprema Corte sarebbe «dettata da ragioni di sicurezza e di ordine nelle carceri in aderenza a quanto permesso dall’ordinamento penitenziario». Per bloccare la corrispondenza - ha ribadito la Corte Suprema - «non è necessaria la prova della commissione di reati o della pericolosità della missiva, ma è sufficiente il ragionevole timore di un pericolo per l’ordine e la sicurezza degli istituti». I giudici hanno fatto notare che «la circolare del Dap aveva vietato rapporti epistolari fra detenuti sottoposti al 41 bis e un’associazione, al fine di evitare l’insorgere di proteste da parte della popolazione detenuta». A questa disposizione i supremi giudici non hanno mosso rilievi perché, come appunto hanno ribadito, è «dettata da ragioni di sicurezza e di ordine nelle carceri in aderenza a quanto permesso dall’ordinamento penitenziario». Su questa sentenza, Rita Bernardini, Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti, Presidente, Segretario e Tesoriera di "Nessuno tocchi Caino", hanno dichiarato:«È una sentenza inaudita e senza precedenti, che dice l’opposto di quel che siamo e che nega tutto ciò che abbiamo fatto in questi anni. Non sappiamo a quali circolari i magistrati di sorveglianza piemontesi e i giudici della Cassazione facciano riferimento, quel che sappiamo è che, in questi anni, noi di “Nessuno tocchi Caino”, come Marco Pannella in tutta la sua vita, non abbiamo fatto altro che convertire ai connotati del Partito Radicale, alla nonviolenza, allo stato di diritto e alla legalità costituzionale le carceri e l’intera comunità penitenziaria» . I rappresentanti di “Nessuno tocchi Caino” sottolineano: «Se nelle carceri non vi sono più rivolte dei detenuti, ma sempre più scioperi della fame per far valere i propri diritti, è anche grazie al Partito Radicale e “Nessuno tocchi Caino”. Questa “radicalizzazione” nonviolenta, positiva e costruttiva continueremo a perseguirla, anche per aiutare lo Stato, l’amministrazione della giustizia e penitenziaria ad avere successo sugli imprenditori della paura che si illudono di poter risolvere le emergenze – sconfiggere la mafia, la violenza e il fanatismo – con la “terribilità”, contrapponendo al terrore un terrore uguale e contrario, derogando ai principi fondamentali dello Stato di Diritto e di Diritti Umani». Proseguono ancora Rita Bernardini, Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti: «Se ci sarà ancora consentito, quest’opera di conversione alla nonviolenza la continueremo a svolgere, soprattutto, nei luoghi più bui e violenti del carcere come le sezioni del 41 bis e, in particolare, nei confronti dei condannati all’ergastolo, dai quali abbiamo avuto in questi anni le prove più significative di un cambiamento sempre possibile, come testimonia il docufilm “Spes contra Spem – Liberi dentro”, ideato da Nessuno tocchi Caino e realizzato da Ambrogio Crespi, con protagonisti uomini che- concludono i rappresentanti dell’associazione radicale -, negata loro per legge la speranza, hanno deciso di incarnarla, di essere fonte di un processo attivo di cambiamento» .