Va fatta una premessa. Il “parlamentino” dell’Anm non ha nulla che ricordi la solennità delle assemblee elettive repubblicane. In quanto luogo fisico, è uno stanzone grande quanto la sala di una bella casa signorile. Abbastanza perché possano prendervi posto i 36 componenti. E qualche giornalista accucciato, con discrezione, in fondo.

Nell’auletta ricavata al sesto piano del Palazzaccio, dove ha sede la Cassazione, si esercita una mera rappresentanza di categoria: espressione di 9mila persone, i magistrati italiani. Persone dotate mediamente di spessore intellettuale e consapevolezza civile fuori dal comune. Ma sempre di 9mila si tratta, non dei 56 milioni rappresentati da deputati e senatori. Solo che l’Anm è diventata potentissima, a causa di un virus: il populismo giudiziario. Ogni cosa che dicono i giudici è strumentalizzata nel gioco della politica vera e propria, sempre a caccia di sentenze di condanna. Moralistiche, oltre che penali.

È alla luce di questo scarto dimensionale che va letto quanto avvenuto ieri al direttivo dell’Associazione nazionale magistrati, il “parlamentino” di cui sopra, appunto. Una resa dei conti fra le correnti. Con un bersaglio: Piercamillo Davigo.

Parla Tommasina Cotroneo, giudice di Corte d’appello a Reggio Calabria e agguerritissima delegata di Unicost, il gruppo centrista: «C’è un’evidente inopportunità nel fatto che Davigo e altri due rappresentanti di Autonomia & Indipendenza ( la corrente dell’ex pm del Pool, ndr) in seno a questo comitato direttivo si siano candidati al prossimo Csm. Serve una modifica statutaria che impedisca il passaggio al Consiglio superiore per chi è ancora in carica nell’Anm».

Fino all’affondo conclusivo: «Non c’è solo inopportunità, ma anche una enorme contraddizione: quando due anni fa i magistrati di tutta Italia hanno votato per eleggere questo direttivo di cui facciamo parte, il consenso per Autonomia & Indipendenza si è vistosamente concentrato sul leader di tale gruppo, cioè Davigo, ma ora che Davigo si è dimesso dal direttivo per candidarsi al Csm si crea un vizio sostanziale di rappresentatività, una vera e propria truffa nei confronti dei colleghi magistrati che lo hanno eletto».

Applausi. E tensione. Ma fino a un certo punto. Perché quello scarto dimensionale tra politica vera e politica associativa delle toghe sta anche in uno spirito di colleganza che non è scalfito neppure dai contrasti più feroci. Dopodiché Francesco Valentini, che è appunto della corrente davighiana, restituisce la pariglia a Unicost e all’altro gruppo schierato per lo stop alle porte girevoli tra Anm e Csm, ossia Area: «Ci viene contestato un fatto: fin dalla nostra nascita abbiamo chiesto che l’Anm esercitasse un controllo severo sul Consiglio superiore, abbiamo subito denunciato come a Palazzo dei Marescialli prevalgano spesso logiche correntizie, quando si tratta di assegnare incarichi direttivi. Ebbene, continueremo a farlo, anche se alcuni amici del nostro gruppo saranno eletti al Csm, e vorrei ricordare che la proposta di vietare per statuto, a chi fa parte degli organismi dell’Anm, la candidatura al Consiglio superiore fu avanzata già in passato, da parte del gruppo Proposta B, in un’assemblea a Napoli: io c’ero, ed ero favorevole, ma Unicost e Area votarono contro», ricorda, perfido, Valentini.

«Viene messa ai voti un’incompatibilità che, 4 anni fa, fu osteggiata proprio dai due gruppi che oggi la propongono». Valentini, presente alla riunione di ieri con il coordinatore del gruppo davighiano, Alessandro Pepe, alla fine raccoglie la sfida: «Mettiamo pure il divieto all’ordine del giorno, noi siamo favorevoli». Giovanni Tedesco, di Area, ricorda che candidati al Csm provenienti dall’attuale parlamentino delle toghe non sono solo di A& I: «Con Piercamillo Davigo, Ilaria Pepe e Giuseppe Marra, ci sono anche due colleghi di Magistratura indipendente: Corrado Cartoni e Paolo Criscuoli. Ma sono i primi tre, ad aver sempre detto che il Csm è infiltrato dalle correnti...».

Si va alla conta. L’incompatibilità elettiva delle toghe è destinata a entrare nello statuto, ma non sarà in vigore da subito, ovviamente. Oggi la riunione del direttivo va avanti, come previsto: arriverà una nota contro il dietrofront del governo sulla riforma del carcere. Ma anche la decisione sulla proposta dell’attuale giunta, presieduta da Eugenio Albamonte, relativa all’uso dei social da parte dei magistrati: «Dovremmo solo ricordare ai colleghi che non si tratta di strumenti di comunicazione privata: un post è sempre potenzialmente pubblico, e quindi la libertà d’espressione va sempre conciliata con le cautele di carattere deontologico», ricorda il numero uno dell’Associazione magistrati. Con il gruppo di Albamonte, Area, è favorevole Unicost.

Magistratura indipendente si dichiara contraria, come i davighiani. Ma i contrasti, a poche settimane dal voto per eleggere i togati del futuro Csm, non devono meravigliare.