Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni lo ha confermato, durante la conferenza stampa di fine anno: la riforma della giustizia «andrà avanti». Le sue parole fanno eco a quelle del ministro per la Giustizia Andrea Orlando. A fronte della spinta del governo, però, Camere penali e magistratura si dividono sull’articolo che prevede l’avocazione delle indagini, se il pm non formula l’opzione sull’azione penale nei termini stabiliti. Il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini spera «che sia espunta dal provvedimento». Le Camere penali, invece, la norma permetterebbe di incidere «sulle lungaggini della fase delle indagini preliminari».

Il presidente del Consiglio lo ha ripetuto: la riforma della giustizia «andrà avanti». Nel corso della conferenza stampa di fine anno, il premier non si sottrae allo spinoso problema del ddl sul processo penale, arenato tra i due rami del Parlamento da oltre due anni, ricordando che «ci sono molti interventi in programma, tutti molto rilevanti: sul processo penale, sul diritto fallimentare, sul codice civile e su quello antimafia». Un elenco corposo, che verrà calendarizzato «in questi giorni, prima dell’epifania», «in base ai calendari parlamentari». Le parole di Gentiloni riprendono quelle del ministro Andrea Orlando, che nei giorni scorsi era tornato a ribadire che «la possibilità di approvare la riforma del processo penale è a portata di mano», dopo lo stop cautelare imposto da Matteo Renzi, durante la fase delicata della campagna referendaria. Del resto - è stato il commento sibillino del Guardasigilli - «il referendum ha interrotto il senso della legislatura, ma è ancora possibile completare i dossier aperti» A fronte di un governo che apre ad un binario parlamentare il più rapido possibile, sui contenuti della riforma tornano a darsi battaglia i fronti opposti di magistratura e avvocatura. Non tutto il testo è pacificamente condiviso o - per dirla con Orlando - «non tutte le questioni hanno trovato un orientamento comune» e a riaprire il dibattito è stato il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini che, dalle pagine del Sole 24 Ore, censura apertamente uno degli articoli più controversi del ddl. «Mi auguro che il disegno di legge sia approvato al più presto, poiché contiene molte norme che consentiranno un processo più celere ed equo. Quanto alla norma sull’avocazione, non la condivido e spero sia espunta dal provvedimento», ha dichiarato il magistrato. La norma controversa è prevista all’articolo 18 del ddl e prevede l’avocazione del procedimento, nel caso in cui il pubblico ministero non formuli l’opzione sull’azione penale, nei termini stabiliti di tre mesi dalla chiusura indagini per l’esercizio dell’azione penale. In altre parole, si tratta di una previsione che escluderebbe la potenziale “imprescrittibilità” dell’esercizio dell’azione penale, imprimendo tempi necessariamente contingentati al lavoro delle procure. Secondo Legnini, infatti, l’automatica avocazione dell’inchiesta da parte della procura generale nel caso di mancato tempestivo esercizio dell’azione penale provocherebbe «una fortissima gerarchizzazione» all’interno degli uffici. La posizione del Csm incontra quella dell’Associazione Nazionale Magistrati, da sempre fortemente critica con la previsione normativa definita «irragionevole» : secondo l’Anm, infatti, le indagini spesso si accumulano e le procure sono costrette a operare scelte di priorità e una “costrizione” a rispettare i tempi - pena provvedimenti disciplinari e avocazione dell’inchiesta - provocherebbe una «paralisi degli uffici», con i pm che finirebbero per preoccuparsi solo di rispettare i termini, sclerotizzando il lavoro.

Di parere opposto l’Unione Camere Penali. L’associazione degli avvocati penalisti ha censurato le dichiarazioni del vicepresidente Legnini, rigettando l’ipotesi di espungere l’articolo 18 dal testo. «Non vi può essere condivisione alcuna sull’irragionevole allungamento dei termini di prescrizione nelle fasi di impugnazione, tanto più se si rinuncia ad intervenire – come chiedono Csm e Anm – sulle lungaggini della fase delle indagini preliminari, nella quale si prescrive la maggior parte dei procedimenti». Per i penalisti, la norma ha ancora «blandi» effetti sanzionatori ma - se approvata - segnerà una «rivoluzione» nel modo di svolgere le indagini, imprimendo al processo accusatorio i tempi certi previsti e auspicati sia dalla Carta costituzionale «che dal buon senso». Posizioni distanti e difficilmente conciliabili sulle quali il ministro della Giustizia dovrà trovare la quadra, potenzialmente scontentando una delle parti in causa.